In quel periodo i suoi giorni si trascinano come in un limbo dove non riconosce i colori dei sentimenti ne è capace di apprezzare o di aiutare ad aiutarlo chi gli sta vicino.
Un giorno, nel corridoio dell’ospedale dove si trovava per una visita, viene casualmente colpito da un palloncino lanciato da una bimba. Con gesto infastidito ributta a terra il palloncino e la bimba subito lo tira di nuovo. La scena si ripete per altre due volte sinché la piccola, avvicinandosi, gli chiede “Perché non ti piace il mio palloncino?”.
Disorientato L la guarda e vede un visino pallido dalle occhiaie segnate ed un sorriso disarmante. Realizza che indossa un pigiamino, quindi è ricoverata e, al cenno della madre che la vuole allontanare, con gesto stanco e quasi rassegnato, indica alla piccina di avvicinarsi. “Perché sei triste?”- lei gli chiede.
E già perché??
“Perché sono vivo ma non posso più vivere, perché respiro ma non posso gioire, perché parlo ma non mi posso esprimere”, questo avrebbe voluto dirle, ma come spiegare ad una creatura di quell’età che dalla vita tutto si aspetta ed ha davanti, che ormai nella sua esistenza non c’era più niente se non un grigio percorso privo di ogni sfumatura.
E così le dice “Perché sono in ospedale.” Lo stupisce la risposta: “Anch’io e ho anche tanta paura degli aghi e delle punture, ma ho scritto una letterina a Babbo Natale e vuoi sapere cosa gli ho chiesto? Di farmi guarire e tornare a casa soprattutto perché non voglio più veder piangere la mia mamma. Lei crede che io non me ne accorga, ma quando la vedo triste la bacio, così ogni sua lacrima sparisce dentro i miei baci. Dai giochiamo, così anche tu sarai meno triste!”.
Un momento irreale.
All’improvviso L percepisce che la nebbia intorno si sta dissolvendo e ogni cosa riassume la propria dimensione. Si sente immensamente egoista per aver pensato solo a se stesso, ai propri desideri ormai non più realizzabili, alle rinunce, non capendo la sofferenza di chi lo circondava con amore. Uno di quei momenti particolari in cui pare sollevarsi ed aprirsi un velo che prima ti impediva di vedere la realtà nella sua pienezza.
“Come ti chiami?” – le chiede. “Nour” risponde lei con un sorriso, “e, sai, vuol dire luce”.
Luce… davvero in quel momento nella vita di L, come per magia, è entrata la luce della rinascita, la consapevolezza di essere vivo e di poter accettare i propri limiti.
Il suo grande spirito sportivo riaffiora e, navigando su internet alla ricerca di uno sport per disabili, trova l’handbike.
Inizia ad allenarsi, a gareggiare e, nel tempo, ottiene risultati che ripagano gli sforzi e la fatica e ridonano pienezza alla sua esistenza. Ma soprattutto impara il grande valore di una carezza, di un grazie, di un sorriso donato e ricevuto, e nella famiglia si realizza comprendendo e ricambiando in modo incondizionato il grande amore della moglie e delle figlie. Le bambine, soprattutto lo incoraggiano sempre e sono orgogliose di ogni sua vittoria e questo per lui è un regalo grandissimo.
Lo guardo mentre le accarezza vicino al traguardo e mi piace pensare che riveda ogni volta il sorriso della piccola Nour, di quella luce che ha saputo con il suo esempio e con il suo coraggio illuminare un percorso avvolto nella nebbia dello scoraggiamento.
Ti immagino L
Oltre la soglia
Cercavo parole
per riempire il vuoto
delle mie paure,
per dare forma
ai miei solitari pensieri,
per ritrovare un rifugio
nei sentieri
della mia anima.
Cercavo parole
e, nel silenzio,
un delicato profumo
di rose
ha inondato
con preziosi effluvi
i miei ricordi.
Rose bianche
a profumar d’innocenza
l’ebano dei miei capelli,
rose rosse
a inondar
con fragranza d’amore
giovani promesse,
rose gialle
a sottolinear
nel tempo l’attesa
come fragile sogno
sospeso tra binari
d’indifferenza.
Ed oggi,
oltre la soglia rimango
di uno spazio infinito,
a cullare il tepore
di antiche memorie
e nelle rose
di giorni lontani
muta l’essenza coglie
del mio sentire
la fraganza.
(estratto da Fili di rugiada, Maria Francesca Mosca Ibiskos Uliveri, 2019, pag. 59-62)