“Se il percorso che hai scelto è troppo facile allora non è quello giusto”.
La storia di Courtney Dauwalter ha inizio nel 1985 a Hopkins, in Minnesota.
Lo sport è da sempre presente in casa sua, i genitori infatti, come ricorda la stessa Dauwalter, le sono stati da esempio fin da subito, essendo loro stessi molto attivi e spingendola da subito a praticare una disciplina. Al liceo si dedica allo sci di fondo, diventandone per quattro volte campionessa dello Stato del Minnesota.
Al college invece le sue inclinazioni cambiano e si dedica in particolare al cross country.
Dello sport rispetta i tempi, l’ascolto del corpo e del respiro, la relazione non solo con la squadra e gli allenatori, ma soprattutto con sé stessa.
Courtney ricerca sempre la perfezione nei movimenti e cerca di spingersi sempre un po’ oltre il giorno precedente.
Al college studia e si laurea in biologia, pensando si trattasse della sua vocazione, ma c’è un problema: aghi e sangue la fanno svenire. Allora decide ancora una volta di farsi ispirare dalla madre. Si orienta verso il ruolo di insegnante e diventa professoressa di chimica e scienze fisiche.
Nel 2017 però qualcosa cambia
La corsa era uno sfogo, un modo per divertirsi, ma fino a quel momento era difficile conciliarla con il lavoro.
È solo nel 2017 che l’atleta inizia davvero a mettersi in gioco. Courtney corre 100 miglia a settimana, esce di casa e va, senza avere una meta precisa né dandosi un tempo limite.
Si interessa alle 24 ore, gare estenuanti non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Bisogna preparare il corpo alla resistenza; il dolore fisico dopo un po’ passa, ma il cervello inizia a vagare ed è lì che ha davvero inizio la sfida.
Quell’anno primo record americano per Courtney Dauwalter alla Riverbank One Day classic con 250 km.
Lo stesso anno è la prima assoluta alla Moab, a sud est dello Utah, 240 con un tempo di 57 ore e 55 minuti, con un vantaggio di 10 ore sul secondo.
Non si scherza più.
2018
L’anno successivo nei primi 4 mesi batte altri 4 record. Ma il 2018 è un anno da ricordare soprattutto per la partecipazione alla Western States 100 Mile, la più celebre delle competizioni. Chiude la gara alla Placer High School di Auburn in 17 ore e 27 minuti.
Courtney partecipa anche alla Big’s Backyard Ultra, in Tennesee. Il percorso è stato ideato da Lazarus Lake, all’anagrafe Gary Cantrell, lo stesso ideatore della Barkley Marathon, 160 km considerati “Un’avventura di corsa satanica”.
La gara di Courtney consiste in 6,7 km in un circuito ad anello, da completare entro l’ora, finchè l’ultimo non cede.
La conclude con 67 giri, stabilendo il nuovo record femminile: 279 miglia.
Verso il monte
Nel 2019 come atleta Salomon, partecipa alla Tarawera, in Nuova Zelanda, e alla MIUT, la Madeira Island ultra-trail.
Il 2020 è annus horribilis, ma non per Courtney Dauwalter. Parteciperà di nuovo alla gara di Lazarus Lake, ma stavolta i giri diventano 68, 283 miglia, 455 km. Nessuno ha mai corso più di lei.
Durante la pandemia però è costretta a fermarsi; si allena da sola in Colorado. Il brivido delle gare le manca, ma serve fare una pausa per capire davvero cosa si ha.
Nel 2021 è sul Monte Bianco dove chiude la gara con un tempo di 22:30:54 e la settima posizione assoluta.
Le corone
Chamonix evidentemente ha un che di fortunato per l’atleta americana che il 2 settembre vince la sua terza 100 miglia ultra-rail della stagione. La cosa sgtraordinaria è che è riuscita a chiudere il percorso intorno al Monte Bianco in 23 ore, 29 minuti e 14 secondi. È la terza volta nella sua carriera che vince la competizione.
Courtney Dauwalter diventa così la prima a vincere la Western States 100, la Hardrock 100 e l’UTMB di Chamonix, tutto nello stesso anno.
Ciò che colpisce di più della sua performance sportiva è la poca distanza tra le varie competizioni. Se competere in una di queste tre gare risulta impresa ardua per i più forti, vincerle tutte in 70 giorni è qualcosa di memorabile.
L’ultima parte della gara, quella che intercorre tra Italia e Svizzera, Courtney la ricorda come l’entrata in quella che lei chiama la “grotta del dolore”. Luogo oltre il tempo e lo spazio, fuori dalla comfort zone, ma dentro l’esperienza. È dove si tocca con mano ciò di cui si è capaci e dove possiamo spingerci. Fa male, ma bisogna farlo.
Lei stessa spiega così questo luogo oltre: “Trovo conforto nell’essere a disagio. La grotta del dolore non è un posto che mi fa paura, è un posto in cui sono entusiasta di entrare, il motivo per cui faccio queste gare. È la curiosità di scoprire di cosa siamo capaci continuando a spingerci sempre più lontano”.
Courtney Dauwalter dunque non è solo un esempio di carattere sportivo, ma soprattutto un modello di positività perché lei spinge a credere in sé stessi e ricercare il punto di rottura.
Esattamente dove è necessario arrivare se si vuole vincere.