Con la prefazione di Enrico Mentana e per Ultra Edizioni arriva in libreria “Pezzi di colore” di Franco Bonera. Giornalista, scrittore e docente, Franco Bonera presenta un paradigma di storie vissute, storie di campioni che hanno scolpito la storia dello sport, ma anche delle grandi firme che lo hanno accolto da ragazzo e con le quali è cresciuto. Storie godibili raccontate con penna leggera, agile e al tempo stesso capace di esplorare angoli poco visti. Storie che si divorano in un attimo, proprio come “Il giocatorino con la maglia numero 4” che pubblichiamo per gentile concessione dell’autore e dell’editore.
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Il ritorno alla normalità dopo la sbornia da scoop e le vacanze in montagna per non turbare il campionato partì dalla cronaca di una partita di Serie B allo stadio Giuseppe Sinigaglia di Como, una trasferta di ordinaria amministrazione: dal lago rientrai al volo a Milano con la Simca 1000 arancione e, una volta arrivato in redazione, mi misi subito alla macchina per scrivere.
Quando stavo per finire il pezzo, ricevetti una telefonata: era il direttore sportivo del Como, Giancarlo Beltrami. «Ha visto che giocatorino, il numero 4? Ecco, se potesse dargli un bel voto in pagella…Se lo meriterebbe, sa? È proprio un bravo ragazzo. Pensi solo che per riuscire anche a studiare l’estate scorsa ha fatto il cameriere. Comunque, veda lei, eh…».
Il giocatorino, in effetti, lo avevo notato: non era affatto male e un 7 se lo era già meritato. Ma a quel punto gli aggiunsi un mezzo voto in più, soprattutto per la storia del cameriere: in fondo, era come se al ristorante gli avessi lasciato la mancia. Qualche giorno dopo mi venne recapitato a domicilio un pacchetto. Il mittente era il Como Calcio e dentro vi trovai un salame brianzolo: il mezzo voto in più mi era valso la farcitura per una dozzina di panini imbottiti. Non c’erano gli estremi per parlare di corruzione e mentre affettavo il gradito omaggio non mi sentivo affatto un giornalista venduto.
In ogni caso, il giocatorino con la maglia numero 4 mi era parso davvero dotato di una marcia in più e, dato che da qualche tempo ero titolare della rubrica Volti nuovi per la A, un’intervista alla settimana ai giovani calciatori più promettenti della Serie B, decisi di andare ad approfondire la sua conoscenza.
Lo incontrai nello spogliatoio dello stadio Sinigaglia, subito dopo l’allenamento del Como. Era un toscano magrolino, tutto nervi e capelli, che parlava sotto voce e pareva intimidito dalla circostanza di trovarsi per la prima volta in vita sua a tu per tu con un giornalista, anche se in fondo avevo pochi anni più di lui.
Prima di cominciare a rispondere alle mie domande, mi volle offrire a tutti i costi un tè caldo in un bicchiere di plastica, ma nel porgermelo me ne rovesciò più di metà sulla camicia. Mortificato, non sapeva come scusarsi e io ne dedussi che forse quella del cameriere non era la sua vocazione. Poi lo ascoltai.
Mi parlò delle sue paure, soprattutto del timore di finire in una grande squadra, come tutti gli pronosticavano. Però, aggiunse che, per esempio, il grande Dino Zoff gli sembrava uno con il quale un giovane come lui avrebbe anche potuto parlare. Fui tentato di chiedergli per quale ragione avesse scelto per ipotetiche future chiacchierate tra compagni proprio uno che non era particolarmente famoso per la sua loquacità, ma lo lasciai continuare.
Alla fine confessò che il suo sogno proibito era sì arrivare a giocare in Serie A, ma in una squadra di provincia. L’ideale, precisò, per lui sarebbe stato il Cesena, ma chiese di non scriverlo perché magari a Como l’avrebbero presa male.
Avevo abbastanza materiale per la mia rubrica e lo salutai con un sincero «in bocca al lupo, chissà che non ci si possa rivedere l’anno prossimo a Cesena». Lui ringraziò e si scusò ancora per la faccenda del tè.
Il giorno seguente trovò sulla «Gazzetta» la prima intervista della sua carriera. Nel testo lo avevo paragonato per il dinamismo, il fisico e la forza di volontà a uno dei campioni del mondo della Germania e il riferimento aveva fornito lo spunto per il titolo: Per il Breitner del Como l’incubo dello squadrone. Immaginai che lui e il suo direttore sportivo avessero apprezzato, anche se non mi vennero recapitati a domicilio altri salumi.
Nonostante tutto l’impegno che ci mise, il giocatorino con la maglia numero 4 del Como non realizzò il sogno di passare al Cesena. Il suo cammino prese, invece, un’altra direzione che lo avrebbe condotto molto, ma molto più lontano.
Il giocatorino con la maglia numero 4 si chiamava Marco Tardelli.
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