O’Rei ha cambiato campo. Il più grande calciatore di tutti i tempi, così lo abbiamo chiamato in tanti, tantissimi. Non un modo dire, ma con ogni probabilità una verità assoluta. Tutti lo ricorderemo per le sue giocate, i suoi tre titoli mondiali e per la bellissima persona che era. Ma Pelé ha avuto una storia importante anche negli Stati Uniti, più precisamente a New York City.
Questa esperienza la ricordano bene i tifosi della Lazio che videro il proprio idolo Giorgio “Long John” Chinaglia scappare via alla volta degli States proprio per raggiungere Pelé nella squadra del Cosmos.
Acavallo degli anni ’70 e ‘80 il Cosmos schierò in campo campioni come Franz Beckenbauer, l’olandese Neeskens, Oscar, Pino Wilson, il brasiliano Carlos Alberto e lo scozzese Aitken. Giocatori a fine carriera che iniziarono a giocare in un continente dove il calcio non poteva nemmeno essere chiamato football e dovette inventarsi il nome di soccer.
Ma cosa portò questi giocatori a spostarsi come i vecchi ricercatori alla ricerca di un nuovo Eldorado?
E cosa è rimasto di un investimento pazzo e visionario?
Cosmopolitan, alias Cosmos
La storia dei Cosmopolitan, nome intero del club che tutti abbiamo sempre chiamato Cosmos, inizia con il comune interesse di alcuni personaggi di primo piano della società statunitense degli anni ’70. Anni di contestazione, ma anche di grande fermento. Non parliamo di semplici appassionati di calcio, ma qualcosa in più. Gente come Jack Warner, fondatore e proprietario della Warner Communications Inc, i fratelli turco-statunitensi Ahmet e Nesuhi Ertegün, proprietari dell’etichetta discografica Atlantic Records, e di Henry Kissinger, allora potente Segretario di Stato dell’amministrazione degli Stati Uniti e ancora oggi annoverato, nonostante la vegliarda età, tra gli uomini più influenti al mondo.
La North American Soccer League
Si narra – e potrebbe non essere una semplice leggenda metropolitana se ci collochiamo con la memoria in quel preciso momento storico – che il comun denominatore del gruppo fosse quello di creare una cultura occidentale anti-comunista, utilizzando l’intrattenimento. In questo caso l’intrattenimento sportivo. in ogni caso, con l’intento di creare una passione sportiva comune che superasse l’Atlantico e unisse i mondi dell’occidente, alla fine degli anni ’70 dalla fusione tra la United Soccer Association e la National Professional Soccer League, nasce la NASL, o meglio la North American Soccer League.
Per avvicinare gli spettatori statunitensi a questo gioco, si gioca da subito la carta tutta americana di spettacolizzarlo al massimo; inserimento della linea di fuorigioco fissa (stile Subbuteo), cambi illimitati, vittoria da 6 punti, abolizione del pareggio e tempo effettivo di gioco con conto alla rovescia (guarda caso lo stesso conteggio di Football e Basket).
L’inizio difficile
L’avvio non è in discesa. Pochi gli impianti dedicati al calcio e le partite che nei mega impianti di football e baseball richiamano appena qualche centinaio tra curiosi e appassionati sono abbastanza deprimenti.
I magnati dell’entertainment decidono allora di spingere di più sull’acceleratore; ci vogliono soldi e ci vogliono campioni. I soldi li hanno, i campioni li portano soprattutto dall’Europa. Fior di campioni, anche se ovviamente a fine carriera, arrivano non solo a New York, ma anche nei campi della costa Ovest: George Best a Los Angeles su tutti.
1975. Arriva Pelé
L’ingaggio di Pelé fu il tentativo, sappiamo non riuscito, da parte della Warner di porre la squadra di New York al centro del mondo. 6 milioni di dollari per un contratto di 3 anni. Al tempo una cifra iperbolica.
La serata di presentazione del campione fu in stile hollywoodiano. Strade bloccate, scene di isteria collettiva, i palleggi di ad uso stampa effettuati su un campetto di Harlem la cui erba fu dipinta di vernice verde poche ore prima.
O’Rei rimase fino al 1977. Il primo ottobre la sua ultima presenza in campo nella grande amichevole contro il Santos, la squadra dell’anima di O’Rei. In uno spettacolo unico, Pelé vestì tutte e due le maglie, giocando un tempo per ciascuna squadra.
Nelle sue stagioni americane, Pelé aveva giocato sul velluto, ma soprattutto aveva dispensato magia calcistica.
Al suo addio sia la squadra che la NASL, precipitarono in una sorta di cupio dissolvi durata fino al 1985, arricchita da qualchesuccesso che non ne cambiò il destino.
Il campione brasiliano non rinnovò il contratto tra il silenzio generale (indizio del fallimento del progetto) e lasciò gli States con un personale di 51 presenze e 36 goal. Li lasciò da divo, ma sarebbe stato impossibile il contrario.
Nel 1978 Giorgio Chinaglia fu nominato presidente del Cosmos. Lo era anche della SS Lazio; riuscì a fare male entrambe le cose.
Calcio a stelle e strisce
Il campionato statunitense continuò ad attrarre giocatori europei a fine carriera, con la differenza che nei primi anni ’80 arrivarono calciatori che non avevano brillato nemmeno in Europa e così ci si avvio verso il declino totale.
Il Cosmos si si dissolse nel 1985, la NASL addirittura un anno prima.
Per il calcio a stelle e strisce fu un fallimento totale?
Per la Warner sicuramente fu un bagno di sangue, ma il movimento calcistico USA deve la nascita proprio ai visionari del Cosmos. È da lì che nasce il Mondiale nel 1994, replicato poi nel 2026.
Oggi il calcio negli Stati Uniti è una realtà vera e la MLS, la nuova Lega, è molto seguita ed apprezzata non solo entro i confini.
A questo proposito vale la pena ricordare che gli USA hanno fallito la qualificazione ai campionati mondiali solo una volta dal 1986 ad oggi e che la nazionale femminile si è laureata 4 volte campione del mondo e 4 volte è stata oro olimpico.
Pelé sarà sicuramente felice che anche quello che ha seminato sui campi statunitensi ha portato ad un ottimo raccolto.