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Jocken Rindt. Fine corsa mai

Ci sono corse che non finiscono mai. Proprio come quella di Jocken Rindt, andato avanti per sempre alla parabolica di Monza il 5 settembre del 1970, unico Campione del Mondo postumo della Formula 1. Postumo, già. La definizione è corretta, ma asettica. È più bello pensare che Jocken non abbia mai smesso di correre e che nessuno sia mai più riuscito a superarlo.
JOCKEN RINDT

È il 28 luglio del 1943, la mezzanotte è passata da poco, circa ottocento bombardieri della RAF si addensano sul cielo di Amburgo. Era già successo nei giorni precedenti e sarebbe accaduto ancora in quelli immediatamente successivi, ma se l’inferno esiste è quella la notte in cui spalanca le porte. Quella è la notte del feuersturm, la tempesta di fuoco. In 45 minuti circa 2.500 tonnellate tra bombe esplosive e incendiare piovono dal cielo e scatenano un vento di fuoco infernale che brucia strade, palazzi e vite. Forse quella notte o forse in un altro dei bombardamenti di qui giorni, tra le oltre 45.000 vittime civili ci sono Karl e Ilse. Sposati da non molto, lui commerciante in spezie da generazioni, lei donna intraprendente di famiglia alto borghese austriaca, Karl e Ilse vivono a Magonza, sono andati ad Amburgo obbligati dai loro affari, ma vorrebbero rientrare presto a casa dove un bambino di quattordici mesi li aspetta. Karl e Ilse sono tuo padre e tua madre. A casa non torneranno. Tu crescerai con i nonni materni a Graz, in Austria.
Tu sei Jocken Rindt e questa è la tua storia.

Destini fatali

La perdita dei genitori e il trasferimento dai nonni a Graz: il destino ha bussato così alla tua vita. Il trasferimento è stato provvidenziale, però; il 27 febbraio 1945 un bombardamento rade al suolo anche Magonza, ma tu sei ormai via da tempo. Troppo piccolo per averne memoria, dei genitori ti sono rimaste fotografie seppiate che maneggerai da grande, il racconto dei nonni e una cospicua eredità. Nel dramma, sei comunque un ragazzo fortunato. Benestante, irrequieto, cresci insieme altri figli inquieti della borghesia cittadina, non ami le regole e te ne tieni a distanza. Tra i tuoi amici ce n’è uno con cui vai particolarmente d’accordo. Siete spavaldi, spesso arroganti, amate la velocità e la sua adrenalina. Sci, moto, macchine, non vi negate nulla.  Con le macchine poi siete da subito degli irregolari, sfidate sorte e polizia, correte di notte e senza patente. Sono gli anni cinquanta e i ribelli che si vedono al cinema sono solo la vostra fotocopia. Come da copione, prima uno e poi l’altro vi schiantate e distruggete le macchine.  L’altro si chiama Helmut Marko e oggi, con i suoi 81 anni, è ancora un grande protagonista del motorismo.

Il mito

Nel 1950 il pantheon della velocità trova la sua dea per eccellenza: la Formula 1. Gli officianti del rito sono piloti scanzonati, coraggiosi, scaramantici, capaci di giocare con il filo della vita ogni volta che scendono in pista, qualcuno capace di diventare leggenda da vivo, qualcun altro capace di trasformare in leggenda la sua morte.  La suggestione della Formula 1 è enorme e tra i piloti a te ne piace uno in particolare, un gentiluomo, un aristocratico tedesco, Wolfgang von Trips.  Il 6 agosto del 1961 sei con Helmut al Nürburgring per il Gran Premio di Germania e ti esalti nel vedere von Trips duellare con Stirling Moss; la spunta l’inglese su Lotus. Per von Trips sarà l’ultimo duello: il mese dopo, al Gran Premio d’Italia, alla parabolica di Monza un incidente se lo porta via. Lotus e Monza, macchina e circuito. Non lo puoi sapere, ma Lotus e Monza sono segni sparsi che il destino lascia sulla tua strada.

JOCKEN RINDT 1962

Inizia la vita

È il 1962 quando afferri il tuo sogno per mano e inizi la vita da pilota professionista. Hai venti anni, le intemperanze da ragazzo te le porti tutte dentro, non ti lasceranno mai, saranno il tuo stile di guida. Le cronoscalate sono gare dure, tecnica, meccanica, coraggio e persino tratti d’incoscienza ne sono essenza e movimento sincrono, senza una le altre non bastano. Sono gare per te. Le corri con una macchina che prende l’anima e divora la strada. Tu e l’Alfa Romeo Giulietta TI preparata Conrero, una 1300 potenziata, non avete paura di niente ed è con lei che ti prendi da subito il premio di categoria alla Trieste-Opicina e più volte correrai una grande classica della montagna, la Trento-Bondone.

Tutto è veloce

Nel 1963 sei in Formula Junior, macchine che sembrano giocattoli, motori di derivazione stradale da 1.000 o 1.100 cc spinti allo spasimo, macchine veloci, pericolose, pane per i tuoi denti, circuiti dove farsi le ossa. La tua Cooper motorizzata Ford Cosworth, non è particolarmente competitiva, ma il 14 aprile la fai vincere a Cesenatico. Le tue ruote scoperte iniziano così.
L’anno dopo sei in Formula 2 e ti fai notare, ma soprattutto il 23 agosto debutti in Formula 1 su una Brabham per la BRM. Dove? A Zeltweg naturalmente, il Gran Premio di casa. Spingi fino a quando lo sterzo non ti abbandona e ti costringe al ritiro, ma chi se ne importa. Ci sei, sei lì, quella è l’unica cosa che conta, correre è l’unica cosa che conta e tu corri ovunque.

 

Importante come pochi altri anni il 1965

La Cooper ti ingaggia con un triennale per la Formula 1, è una buona notizia, ma la macchina non è competitiva e, in quella stagione, degni di nota ci sono solo il quarto posto al GP di Germania e il  sesto al GP degli Stati Uniti.
Nel 1965 c’è tanto altro però. Con la Brabham corri anche in Formula 2, il 4 luglio vinci a Reims, altre volte ti piazzi e alla fine della stagione sei secondo in classifica generale. La Francia, quell’anno, ti porta bene. A giugno, a Le Mans eri arrivato carico. Il 23 maggio, poco meno di un mese prima, avevi fatto una gran bella gara alla 1.000 km di Nürburgring; la Porsche 904/8 è potente, ma il manico di piazzarla terza incastrandola tra tre Ferrari l’avevate avuto tu e Jo Bonnier.
A Le Mans invece su Ferrari, una 250 LM del North American Racing Team, ci sei tu. Il tuo compagno è Masten Gregory, dieci anni più di te e una storia familiare che in filigrana somiglia alla tua. A Le Mans tutti si aspettano il duello tra Ford e Ferrari, ma le Ford deludono, le Ferrari ufficiali rompono e voi siete la sorpresa che era nell’aria. Vincete e segnate la sesta vittoria consecutiva per le macchine del Cavallino. Vai a pensarlo che sarà anche l’ultima fino al 2023.

Le Mans 1965 Rindt e Gregory

Curt Lincoln

Il giro dei motori è un mondo piccolo. Prima o poi ci si incontra tutti. Nel giro di piloti giovani che vogliono mordere la vita e bruciare l’asfalto c’è anche un signore che per età potrebbe essere tuo padre. Elegante, distinto, un finlandese che sembra non essere mai stanco di adrenalina. Ha un rapporto speciale con la velocità che ha iniziato a frequentare da grande, quasi trentenne, correndo in acqua con gli idroplani per passare subito dopo alle macchine e ai circuiti. Nel tempo libero ha giocato a tennis, diventando campione nazionale e giocando anche una Coppa Davis. Ha corso in Formula Junior, in Formula 2 e la sua ultima gara sarà in Formula 3, nel 1967, a cinquant’anni. Si chiama Curt Lincoln e ha una figlia che lo accompagna sempre. È bella, bellissima, elegante, si muove con grazia da indossatrice quale è e non dà molta confidenza in giro. Nina, si chiama Nina. Quando la vedi forse capisci subito o forse no. Non è così importante. Nel marzo del 1967 Nina diventa tua moglie, l’amore grande della tua vita.
In pista macchine e piloti danno spettacolo. Nel paddock lo spettacolo siete voi.

Rind e Nina Lincoln

Anni di corsa

Nel 1966 la Cooper migliora, il motore Maserati gira bene. John Surtees, il tuo compagno, è secondo in classifica piloti e subito dopo ci sei tu. Non è male, non è niente male. Diventi un uomo da battere e l’idea ti piace molto. L’anno seguente però non è proprio come te lo aspettavi, la vittoria di Pedro Rodríguez in Sud Africa è un fuoco di paglia; questa volta macchina e motore proprio non vanno, per te ci sono solo due quarti posti e poi sempre ritiri.
Ti consoli con la Formula 2, vinci cinque Gran Premi e anche il titolo inglese con una Brabham BT23 per il Roy Winkelmann Racing Team. Forse anche per questo decidi che è tempo di cambiare e nel 1968 in Formula 1 vai con una Brabham ufficiale. Anche questa volta però siamo al di sotto delle aspettative, ma i tuoi due terzi posti fanno capire a tutti che ci sei sempre. Lo fanno capire anche a Colin Chapman.

Il visionario

Se la Formula 1 è una dea e voi piloti siete gli officianti del rito, allora non bisogna dimenticarne i profeti. Colin Chapman è qualcosa di simile. Colin Chapman è un visionario, capace di guardare dove altri non vedono, capace di capire prima che gli altri capiscano. Per la Formula 1 esiste un prima e un dopo Colin Chapman. Il rapporto peso-potenza, le sospensioni, il telaio monoscocca, la deportanza, l’effetto suolo; tutte cose che porta lui. È persino il primo a capire l’importanza delle sponsorizzazioni e a personalizzare la livrea delle macchine. Una per tutte, iconica come poche altre, quella nera e oro della Lotus brandizzata John Player Special. Di fatto le sue Lotus sono il futuro che prende forma e scende in pista. Colin Chapman per la Formula 1 del 1969 vuole te.

Rindt, Chapman e Miles

Un incontro elettivo

Nel circo dei motori c’è tutto. Agonismo, rivalità, amicizia e anche amore. Nina, ad esempio è il tuo grande amore ed sempre con te, tu corri e lei prende i tempi, tu sei al box e lei ti è vicina, ti parla, ti sorride, ti bacia anche. Ci sono poi le grandi amicizie, la tua con Jackie Stewart ad esempio, ma anche con Jim Clark, Bruce McLaren e Graham Hill. Siete giovani, effervescenti, dividete vita, corse, rischio e vacanze. Dolore, anche dolore, come quello per Piers Courage, tuo amico, storia irrequieta come la tua. A Zandwort il 5 giugno 1970 la sua ultima corsa. Poi c’è Bernie Ecclestone che sarà storia a sé e che, in questi anni, è il tuo manager.
Colin Chapman è invece un incontro elettivo, la sua scuderia è di un fervore affascinante, la Lotus è macchina per te, ma sono tante le cose che voi due avete in comune, per questo ti ci trovi bene.

Jocken Rindt incidente spagna 1969

Paura a Montjuïc

Nel 1969 sei quarto in classifica piloti, un bel risultato, ma soprattutto nel 1969 porti a casa la pelle. Il 4 maggio in Spagna, sul circuito cittadino di Barcellona nel parco di Montjuïc, ti eri guadagnato la pole ed eri solo al comando. Al box c’era maretta però. Al nono giro l’ala posteriore molla Graham Hill che si va schiantare contro le barriere a 150 all’ora. Dave Sims, l’ingegnere della Lotus, chiede a Chapman di fermarti. Troppo pericoloso quel circuito, troppe le sollecitazioni per quei maledetti alettoni così sporgenti dal corpo macchina dice. Chapman non gli dà retta, ma Sims aveva ragione.
Al diciannovesimo giro, praticamente nello stesso punto dell’incidente di Hill, l’ala si stacca anche dalla macchina, la Lotus senza più nulla che la trattenga al suolo si alza, piroetta in aria e carambola proprio contro la macchina di Hill che era rimasta a bordo pista. Commozione cerebrale, fratture alla mandibola e al naso. Sei vivo per miracolo.
Non è ancora tempo, ma il tempo corre.

Anno zero

Zero come l’inizio, zero come tutto e niente, zero come 1970.
In effetti non sembra iniziare bene la stagione: tredicesimo in Sud Africa e costretto a fermarti al nono giro in Spagna.
La Lotus 72 segnerà la storia della Formula 1, ma in Spagna ti delude e allora cambi, torni alla 49 e vai a vincere a Monaco. La soluzione? No. Infatti tre settimane dopo, in Belgio, anche la 49 ti lascia a piedi. E poi Chapman era convinto che la 72 non potesse andare male, era la sua creatura, la sua scommessa.
A Zandwort sei di nuovo sulla 72 che, nel frattempo è stata modificata;
vinci e sembri non volerti più fermare. Vinci in Francia, in Gran Bretagna e in Germania dove sei da leggenda quando all’ultimo giro in volata superi Ickx che era stato in testa per quasi tutta la gara. Da allora per tutti diventi la Tigre.
Sei primo in classifica generale, non punti, ma anni luce davanti a tutti. In Austria non va bene, avevi la pole, ma al ventunesimo giro il motore rompe. Peccato, è casa tua e ci tenevi. Con quei venti punti che hai su Brabham e i 26 su Ickx, l’Austria è solo una battuta d’arresto. Lo pensano tutti, anche tu.

Rindt monza 1970

Monza

Il tempo fatto il 4 settembre non ti ha soddisfatto. Il giorno dopo, le prove si aprono alle 15,00 e tu non hai voglia di aspettare per migliorarti. Alle 15,15 sei in pista. Primo giro, secondo giro, terzo giro, quarto giro. Ogni volta migliori, ogni volta sei più veloce. Poi arriva il quinto giro.
Alle 15.25 sei davanti alla parabolica a 250 all’ora. La Lotus 22 è tutta sulla destra, poi accenna a uno sbandamento, sembra voler andare in testa coda, ma non fa in tempo, va a sinistra, dritta a sinistra, l’asfalto finisce e finisce anche la striscia di prato. Dopo c’è solo il guard-rail. La macchina, distrutta, rimane incastrata lì sotto.

Il rumore dei motori prima diventa silenzio e poi sirena di un‘ambulanza.
Dall’altra parte, sul rettilineo dove ci sono i box, Nina attende con il cronometro in mano, come sempre. Questa volta non vede nessuno. La lancetta corre, Jocken non più. Dopo poco arriva Jackie Stewart, l’amico Jackie. Le dice “Vieni, Jocken si è fatto male”. Il tempo si ferma così. Non avvisa mai prima.

Jocken Rindt

Fine corsa mai

È troppa questa fortuna. Comincio un poco a preoccuparmi perché potrebbe non continuare”. Avevi detto così dopo il GP di Germania, ma non è questione di fortuna, sono solo disegni misteriosi.
Nei quattro Gran Premi rimasti, nessuno riesce a recuperare il vantaggio che ti sei preso. Nel 1970 il Campione del Mondo sei tu. Postumo, dicono. La definizione è corretta, ma a me piace poco. Io preferisco pensare che tu sia campione perché stia correndo una corsa senza fine. Sempre in testa, sempre avanti. Inquieto, guascone, ribelle, innamorato. Tigre sì, Tigre.
Al Salone di Ginevra del 1971 Autosprint, che per gli appassionati dei motori non è solo una rivista, ma una Bibbia, consegna a Nina e a tua figlia Natasha il Casco d’Oro alla tua memoria.
Natasha ha tre anni, lo tocca, lo maneggia, ci gioca. Lo accarezza, ti accarezza. Lei lo sa che ci sei.

Lei lo sa che la corsa non finisce mai.

 

Marco Panella, (Roma 1963) giornalista, direttore editoriale di Sportmemory, curatore di mostre e festival culturali, esperto di heritage communication. Ha pubblicato "Il Cibo Immaginario. Pubblicità e immagini dell'Italia a tavola"(Artix 2015), "Pranzo di famiglia. Una storia italiana" (Artix 2016), "Fantascienza. 1950-1970 L'iconografia degli anni d'oro" (Artix 2016) il thriller nero "Tutto in una notte" (Robin 2019) e la raccolta di racconti "Di sport e di storie" (Sportmemory Edizioni 2021)

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