12 febbraio 1908, anniversario della nascita di Abraham Lincoln.
Negli Stati Uniti non proprio un giorno qualunque.
Mercoledì 12 febbraio a New York è una bella giornata, ma il sole di febbraio non riscalda e la temperatura non supera lo zero. Di anniversario e gelo, però, alle 250.000 persone che circondano Times Square, bloccano la Quinta, la Broadway e tutte le street intorno, importa quasi nulla.
Loro sono lì per altro.
Loro sono lì per l’appuntamento con l’avventura del secolo: la Grande Corsa New York-Parigi.
Dopo la Pechino-Parigi
Erano passati solo pochi mesi da quando il mondo si era entusiasmato per la prima grande impresa motoristica, la Pechino – Parigi che aveva visto il trionfo della Itala di Scipione Borghese.
Impresa sportiva straordinaria, ma anche prima grande impresa sportiva mediatica.
Un’impresa nata per la sfida lanciata dal quotidiano Le Matin, riflesso del fermento culturale che motori e velocità portano in dote al novecento e che, ovviamente, aveva fatto gran bene anche alle vendite del giornale parigino.
In effetti, in quegli anni Le Matin segna un punto di modernità nel panorama editoriale.
Fondato nel 1882 da finanzieri principalmente americani, il giornale è da subito molto attento al linguaggio pubblicitario, soprattutto alle entrate che può portare. Una vocazione che troverà ulteriore enfasi con l’ingresso tra gli azionisti di Maurice Bunau-Varilla, che vedrà il giornale passare dai 100.000 lettori del 1900 ai 700.000 del 1910.
Un successo al quale non è estranea la Pechino – Parigi del 1907, tanto che a Le Matin vogliono replicare l’impresa.
L’industria dei motori
Nel 1903 a Dearbon, cittadina del Michigan praticamente ignota ai più, Henry Ford fonda l’omonima casa automobilistica ed introduce la produzione seriale in catena di montaggio.
È una rivoluzione che cambia il mondo, non solo quello dell’automobile.
Per gli Stati Uniti, frontiera e grandi spazi sono un paradigma culturale e tutto ciò che vi fa muovere gli uomini diventa simbolo identitario; i mustang, il servizio postale, la ferrovia e, ben presto, lo sarà anche l’automobile.
Henry Ford questo paradigma lo ha ben chiaro e come lui lo hanno chiaro anche i protagonisti della promettente industria del secolo: quella automobilistica.
Erwin Ross Thomas di Buffalo, fondatore della E.R. Thomas Motor Company, è uno di loro.
Un nome da tenere a mente il suo; nella nostra storia è più importante lui di Henry Ford.
Il clamore della Pechino-Parigi ancora non si è spento e al New York Times sono convinti che anche la nascente industria motoristica americana abbia bisogno di qualcosa di simile.
L’industria dei motori deve diventare pop e per farlo ha bisogno di riti, liturgia, fascino e narrazione.
L’incontro elettivo con Le Matin è quanto di più naturale potesse accadere.
Ne esce qualcosa di straordinario.
La Grande Corsa
L’8 novembre 1907 l’accordo è fatto: Le Matin e New York Times stupiranno il mondo e, ancora una volta, dimostreranno che il futuro ha un motore e quattro ruote.
La Grande Corsa New York-Parigi nasce così.
22.000 miglia, oltre 35.000 chilometri attraverso tre continenti – America, Asia ed Europa – e un Oceano, il Pacifico, che si aggiungerà in corso d’opera.
Strade spesso inesistenti, ambienti ostili, clima avverso; ai concorrenti non sarà risparmiato nulla.
Come premio non la simbolica magnum di champagne vinta da Scipione Borghese, ma 1.000 dollari riconosciuti a chiunque fosse riuscito ad arrivare a Parigi.
Rispetto alla Pechino-Parigi c’è una differenza sostanziale; alla New York-Parigi non parteciperanno gentlemen avventurosi e benestanti in grado di finanziare la sfida, ma saranno le stesse case automobilistiche a iscrivere macchine ed equipaggi.
Non lo faranno in molti.
Appuntamento a Times Square
Il 12 febbraio a Times Square, angolo 42th street, sono schierate e allineate sei macchine con a bordo diciassette tra piloti, meccanici e giornalisti.
I francesi la fanno da padroni, o almeno vorrebbero.
Partecipano con tre macchine; una De Dion, una Moto-Bloc e una Sizaire-Naudin.
I tedeschi partecipano con una Protos.
Gli americani arrivano in extremis; la Thomas Motor Company iscrive solo il 9 febbraio una Thomas Flyer che arriva da Buffalo solo il giorno prima della partenza e con un equipaggio composto all’ultimo minuto.
E poi ci siamo noi, gli italiani, con una Züst e questa è una storia nella storia.
Züst. L’industria
Cognome svizzero e anima italiana, quella della Züst è una gran bella storia motoristica nazionale che nasce sul Lago Maggiore, ad Intra.
Una storia che si inserisce su quella della metalmeccanica Güller&Croff dove nel 1878 entra, sposando la figlia del proprietario, l’ingegnere svizzero Roberto Züst. I figli di Roberto prendono in mano l’azienda nel 1897, vedono un po’ il futuro, nel 1900 escono i primi prototipi di automobile e nel 1905 ne impiantano la produzione a Milano.
Le Züst sono macchine affidabili, robuste, potenti, ammiraglie per vocazione.
Per altrettanta vocazione, si tengono però abbastanza lontane dalle competizioni; una Targa Florio e qualche gara negli Stati Uniti, probabilmente perché lì avevano un agente generale che ne curava vendite e interessi.
Con altrettanta probabilità, è a questa coincidenza che dobbiamo l’iscrizione della Züst alla New York-Parigi.
Una partecipazione in qualche modo sorprendente visto il basso profilo competitivo sino ad allora mantenuto dall’azienda.
Züst. La macchina
La Züst che partecipa alla New York-Parigi è una 28/45 HP capace di arrivare a 60 km/h, carrozzeria della milanese Schieppati – altra preziosità del pionierismo automobilistico italiano – e gommata Pirelli, reduce dall’ottima prova che i suoi copertoni avevano dato in occasione della Pechino-Parigi.
Il viaggio della Züst verso New York inizia a Milano.
È da qui che, in treno, la macchina arriva a Parigi per poi proseguire su strada fino a Le Havre dove s’imbarca sul piroscafo La Lorraine in direzione New York.
Insieme alla macchina, ovviamente, l’equipaggio che una volta sbarcato a New York troverà la calorosa accoglienza degli italiani d’America e si vedrà presto assegnato il nome di Macaroni Fleet.
Livrea grigio verde, tricolore dipinto sul cofano del vano motore, targa americana 19101 rilasciata dallo Stato di New York, scritta Züst a grandi lettere sul radiatore, la Macaroni Fleet sarà protagonista assoluta della New York-Parigi.
Züst. L’equipaggio
Dell’equipaggio italiano della New York-Parigi abbiamo i nomi, ma non sappiamo molto.
Il pilota è Emilio Giulio Sirtori, 26 anni, ingegnere, qualcuno lo descrive sportivo, qualifica di cui in quegli anni gode chiunque abbia confidenza con guida e motori. Altri lo vorrebbero essere tra i fondatori della De Vecchi, nostra prestigiosa e pionieristica casa automobilistica. Fondata nel 1905 e con un ingresso di nuovi soci nel 1907, la De Vecchi maturerà una spiccata anima sportiva, ma della presenza di Sirtori come socio non abbiamo trovato alcuna fonte diretta.
Il meccanico al seguito è Heinrich Haaga; l’età, 22 anni, è l’unica cosa che sappiamo di lui.
Insieme a loro troviamo Arthur Ruland, agente generale della Züst negli Stati Uniti, che li accompagnerà sino alla fine del percorso americano.
Ultimo, ma non ultimo, Antonio Scarfoglio, personaggio chiave dell’avventura italiana nella New York-Parigi.
Vediamo perché.
Antonio Scarfoglio, penna e avventura
Antonio ha la fortuna di essere il primogenito di Edoardo Scarfoglio e di Matilde Serao, letterati, giornalisti, editori e fondatori, nel 1892, de Il Mattino di Napoli, quotidiano che diventerà presto il giornale di riferimento del Sud Italia.
È proprio per il giornale di famiglia che Antonio muove i primi passi di avventura e di penna.
Sarà il giovanissimo inviato del giornale per seguire la ribellione greca contro l’impero Ottomano e nel 1906 salirà verso il cratere del Vesuvio in eruzione.
Venendo a noi, nel 1908 Antonio Scarfoglio assicura al padre che arriverà in America anche in motoscafo se non gli darà il permesso di salire sulla Züst per seguire e raccontare la New York-Parigi.
Per nostra fortuna Antonio Scarfoglio la New York-Parigi non solo l’ha fatta tutta, ma ne ha lasciato anche preziosa testimonianza con le cronache pubblicate da Il Mattino e con il suo libro Il giro del mondo in automobile, pubblicato nel 1910 in edizione riservata per i soli abbonati del giornale.
New York-Parigi. La partenza
250.000 persone sono un numero immenso.
Per rendere l’idea il Rungrado May Day Stadium di Pyongyang contiene 150.000 spettatori, il Salt Lake Stadium 120.000, l’Azteca di Città del Messico 105.000.
Il 12 febbraio solo i più fortunati riescono a vedere le macchine allineate all’angolo della Broadway con la 42th, altri avranno forse potuto raccontare di aver sentito suonare gli inni nazionali, altri ancora le avranno viste passare mentre, accompagnate da un corteo di oltre 200 automobili, scorrevano lungo la Broadway verso Riverside per poi uscire dalla città.
Qualcuno forse avrà anche sentito lo sparo della partenza, peraltro animato da un aneddoto curioso.
Il via alla New York-Parigi lo avrebbe dovuto dare il sindaco di New York sparando in aria con una pistola d’oro.
Fatto è che, forse intrappolato dalla folla, il sindaco era in ritardo e passato il quarto d’ora d’obbligo, tale Colgate Hoyt dell’Automobile Club d’America prese la pistola, sparò e liberò l’urlo della folla e il fragore dei clacson delle vetture che accompagnarono la partenza della più avventurosa corsa della storia dei motori.
New York-Parigi. Il percorso
Parlare di percorso estremo della New York-Parigi è riduttivo.
Per avere idea di quale entusiasmante pazzia sia stata la New York-Parigi dovremmo tutti prendere la De Lorean di Ritorno al futuro e fare un viaggio nel tempo.
In mancanza, però, provate a immaginare le macchine di allora dimenticando ogni ipotesi di comodità moderna. Immaginate strade che non erano strade, tempeste di sabbia, bufere di neve, scrosci di pioggia, vento battente, gelo, arsura, sabbie mobili, paludi. Immaginate l’ignoto di ogni chilometro in più, la precarietà delle indicazioni e dei rifornimenti, l’incomprensibilità delle lingue.
In caso voleste aiutare la fantasia, allora guardate le foto
Guardate i nostri sulla Züst, guardateli infagottati dentro pellicce che li fanno sembrare antenati del Chewbecca di Star Wars, cosa questa che se non tutto, dice molto.
Un coast to coast americano verso ovest con partenza in pieno inverno, macchine scoperte e la pazzesca idea originaria di arrivare a Parigi facendo passare i concorrenti dall’Alaska alla Russia guidando sullo specchio gelato dello Stretto di Bering.
Vi rendete conto che definire la New York-Parigi corsa estrema sia effettivamente riduttivo.
Il cambio di programma
Dopo 41 giorni, 8 ore e 15 minuti l’americana Thomas Flyer è la prima ad arrivare a San Francisco. Qui s’imbarca per raggiungere Valdez, in Alaska, dove le condizioni proibitive fanno fortunatamente cambiare idea agli organizzatori: niente più Stretto di Bering.
La Thomas Flyer viene riportata a Seattle, sbarca e si imbarca di nuovo per il Giappone, lo attraverserà e poi s’imbarcherà nuovamente per arrivare a Vladivostock, in Siberia.
Arrivata per prima al Pacifico, la Thomas Flyer ne partirà così per ultima.
Gli organizzatori riequilibrano le cose, assegnano agli americani un vantaggio di 15 giorni mentre, per il passaggio ferroviario usato per arrivare a Seattle dall’Idaho, ne daranno 15 di penalizzazione ai tedeschi della Protos
Sul fronte francesce, invece, la Sizaire-Naudin non aveva passato lo Stato di New York, la Moto-Bloc si era fermata in Iowa, la De Dion si ritirerà una volta arrivata in Giappone.
La Züst tiene anche bene, anche se ne passa di tutti i colori tra intemperie, scorrettezze degli americani che Scarfoglio non perde occasione di accusare per favoritismi vari e persino, nel Wyoming, l’assalto di un branco di lupi respinti a fucilate.
Comunque sia il 14 aprile la Züst s’imbarca con destinazione Yokohama, Giappone, e continua la sua corsa.
La prigione russa
Se attraversare gli Stati Uniti in automobile era stato duro, basti pensare che prima della New York-Parigi lo avevano fatto solo in otto e nessuno in inverno, affrontare Siberia e Manciuria nel periodo del disgelo sarebbe stato durissimo.
Agli italiani tocca anche la non felice esperienza di essere arrestati e passare tre giorni in prigione.
Accadde infatti che vicino a Tauroggen, villaggio di frontiera russo, due bambini stavano giocando vicino alla strada quando il passaggio rumoroso della Züst spaventa il cavallo che trainava un carro che sbanda e li travolge.
Scarfoglio descrive così l’episodio: “Le ruote del carro urtano più violentemente su un mucchietto di stracci, e il carro scompare nella polvere. A terra, rannicchiato sul fianco sinistro con una bella testa coperta di sabbia e di sangue rimane il corpicino, morto“.
Il bambino non viene lasciato in mezzo la strada, Scarfoglio lo raccoglie, lo sistema in macchina e va al posto di polizia di Tauroggen dove racconta quello che è accaduto.
Purtroppo non è l’unico a farlo, soprattutto non è il primo.
Il conducente del carretto aveva già telegrafato dicendo che l’incidente era stato provocato dall’automobile.
Scarfoglio e Haaga vengono così imprigionati e trascorrono tre giorni in cella insieme ad altri quattordici prigionieri.
I due disperano, ma il quarto giorno vengono liberati, rifocillati dai soldati russi e lasciati liberi di continuare a correre la loro New York-Parigi.
Parigi
Parigi è ancora lontana e la Züst è ultima tra le tre concorrenti rimaste in gara.
L’equilibrio, anche se con sorpresa, rimarrà questo sino alla fine.
Domenica 26 luglio 1908 la Protos, macchina pensata e costruita appositamente per la New York-Parigi entra in città.
I tedeschi hanno però accumulato una serie di penalizzazioni, sono accolti con indifferenza dai parigini e con freddezza dagli organizzatori.
È il preludio alla squalifica; il loro primo posto è cancellato, i quasi sei mesi di gara tra asperità di ogni genere sono passati inutilmente, ma al di là dell’esito formale, l’avanguardia dell’industria automobilistica tedesca è sotto gli occhi di tutti.
Il 30 luglio 1909 Parigi non attende altro
Una folla festante si è radunata in strada per l’annunciato arrivo della Thomas Flyer americana che, già da diversi chilometri prima di entrare in città, si era vista affiancare da decine e decine ciclisti che non volevano perdere l’occasione di accompagnarla nel suo ingresso trionfale a Parigi.
La macchina più leggera e meno potente delle altre, allestita con solo pochissimi accorgimenti in più rispetto alla dotazione di serie, iscritta alla New York-Parigi in tempo appena utile, si stava portando a casa la vittoria nella più avventurosa delle imprese motoristiche.
Inevitabile qualche venticello polemico, anche italiano e forse non del tutto fuori luogo, al riguardo di un discreto occhio di favore di cui gli americani, soprattutto nella traversata di casa loro, avrebbero goduto.
Ma se anche qualcuno avesse voluto favorire gli americani, certamente aveva dimenticato di avvisare un vigile parigino.
Il vigile parigino
Accadde infatti che, incurante del momento e della situazione, a Place de l’Opera, uno zelante vigile parigino si accorge che la Thomas Flyer scivolava tra folla senza fanali accesi e quindi, ligio al dovere, la ferma.
La legge parlava chiaro, una macchina senza luci accese non poteva circolare, neanche se era la Thomas Flyer, neanche se aveva 35.000 chilometri alle spalle, neanche se aveva attraversato una buona parte del mondo.
La soluzione arriva proprio da un ciclista che, senza perdersi d’animo, scende dalla bicicletta e la carica sulla Thomas Flyer, proprio accanto al guidatore. Il faro della bicicletta funziona, il vigile è a posto con legge e coscienza, la macchina può ripartire e arrivare davanti la sede de Il Matin.
Sono le 8 di sera, Parigi è tutta luci e lo champagne scorre a fiumi.
La Züst a Parigi
Il 17 settembre anche la Züst arriva a Parigi, ma il clamore mediatico è ormai finito, sette mesi sono tanti.
Troppi per chiunque.
A veder bene la Macaroni Fleet, anche se decimata in corso d’opera per l’abbandono di Sirtori a seguito di un litigio con Scarfoglio, pare sia stato l’unico equipaggio a rispettare regolamento e percorso così come tracciato dagli organizzatori. Il racconto di Scarfoglio, che non aveva una particolare stima degli americani, lascia pensare che possa essere stato effettivamente così.
Ma in fondo oggi questo conta poco.
Oggi conta invece portare avanti la memoria di un’impresa epica
Un’impresa che ha visto uomini e motori lavorare di ingegno e di coraggio per far fronte alle insidie di una natura indomita.
Uomini che hanno cercato il limite non per fermarsi attoniti lì davanti, ma per oltrepassarlo, andare oltre e aprire strade a chi sarebbe venuto dopo di loro.
La New York-Parigi ci ricorda che di uomini così ne avremo sempre bisogno.
Ci ricorda anche che forse, oggi, di uomini così ne abbiamo veramente pochi.