Colette Duval non avrebbe mai immaginato di ottenere fama eterna grazie ai suoi salti da record nel vuoto ma un fortunato pomeriggio domenicale all’aeroporto e un incontenibile desiderio di fuggire l’hanno resa una leggenda temeraria, oltre che una fortunata attrice.
Ognuno la propria fuga la organizza come vuole
C’è chi semplicemente si chiude la porta di casa alle spalle e inizia a camminare, andando lontano nella speranza di trovare un luogo finalmente adatto da chiamare “casa” o chi invece pianifica per mesi ed anni, cambiando i piani e smuovendo la terra sotto i piedi per prepararsi allo scatto finale.
Colette Duval fa parte di questa categoria.
Nata il 28 luglio 1930 a Ruesnes, Francia, Colette non desidera raccontare la storia di come sia da subito diventata una “bambina martire”, ma le vessazioni continue di un padre violento non fanno sperare in un esito diverso. Gli anni dell’infanzia sono sofferti, pieni di piccoli episodi volti a incrinare la volontà di una bambina il cui unico peccato è quello di non voler abbassare mai la testa.
Colette possiede spirito critico e vede il padre per quello che è ma soprattutto quello che lei stessa potrebbe essere: libera, luminosa e leggera nel danzare fra quelli che dovrebbero essere gli anni più spensierati della sua vita. Stranamente in aiuto le vengono gli anni della guerra. È il 1939, Colette ha nove anni e tutto crolla. I conflitti sono frequenti e a Longeau, dove vive, l’unico modo per ripararsi dai bombardamenti è in un rifugio vicino casa che bisogna raggiungere di corsa, a perdifiato, lungo una strada che spesso è lambita dalle fiamme.
Qualcosa cambia
Un giorno, però, Colette ne ha abbastanza: è stufa di fingere d’essere insensibile ad uno spettacolo simile, slegata da un incubo che la insegue dentro e fuori le mura di casa e da cui le sembra impossibile poter uscire. Le bombe cadono, la terra trema e la bambina inizia a correre. Supera la città in fiamme a va lontano, verso la campagna, senza pensare troppo al dove o al come. Viene raggiunta da un gruppo di partigiani bretoni che credendola sola la prendono con sé, quasi arruolandola nel loro gruppo. Passano cinque mesi di felicità in cui Colette si sente “fiera della loro amicizia” ma il sogno viene infranto con l’arrivo della Croce Rossa che la costringe a tornare a casa dai genitori, più arrabbiati che preoccupati per quella figlia che sembra scalpitare sul posto.
Colette custodisce quei giorni di libertà come il più bello dei segreti e non si oppone quando viene mandata presso l’Albergo delle aquile, un pensione-castello riservata ai figli dei ferrovieri. Lì incontra il suo primo vero grande amore, la danza, praticata in un ambiente dove non solo si sente a proprio agio ma le ombre del padre scompaiono completamente, lasciate in un angolo della mente come un incubo ormai superato.
Non solo la danza le piace ma Colette è proprio portata, dedicandosi alla disciplina per ore ed ore senza pause. È per questo che la sua maestra di danza si presenta a casa Duval, esponendo i progressi della figlia Durant “tre anni di vita sana, libera e disciplinata”, cercando anche di delineare un possibile lavoro per lei. La risposta è netta: non ci sarà mai una ballerina in casa Duval.
Una domenica qualsiasi
Il cuore di Colette si spezza e improvvisamente gli è imposto dall’alto (suo padre) un lavoro come dattilografa presso una fabbrica di bulloni di alta precisione per la Marina e l’Aviazione. Sono mesi lunghi e ripetitivi, intervallati solo dall’amicizia con Gilberta Rigbourg, una sua collega di sette anni più grande. Gilberta vede il guscio ormai vuoto che è diventata Colette e cerca in qualche modo di tirarla su di morale; suo marito, infatti, la domenica impartisce lezioni di volo a vela all’aeroporto e magari un cambio di panorama potrà aiutarla. Colette, nonostante la ritrosia del padre, la domenica dopo si trova lungo la pista di cemento quando improvvisamente qualcosa scatta dentro di lei: un amore improvviso, una scarica simile solo a quella che aveva provato da bambina quando aveva danzato per la prima volta. Altro che semplice lavoro a maglia mentre gli uomini volano, Colette viene invitata a prendere posto dentro l’aliante stesso per poter vedere da vicino quanto luminoso sia il cielo. Per lei niente sarà più lo stesso: improvvisamente tutto è così lontano da far apparire le sue preoccupazioni quasi sciocche e così divertente da farla tornare per qualche istante la bambina allegra che mai è stata. Vorrebbe che il volo non smettesse mai perché, quando tocca terra, la sua situazione torna a colpirla come un martello sull’incudine. Suo padre ha visto tutto. La discussione che ne deriva è lunga e carica d’odio ma Colette, in qualche modo, riesce a convincerlo a farla volare, seppur per poco tempo.
Di nuovo in fuga
Passano i mesi e la giovane sente di aver trovato la sua strada nel paracadutismo, disciplina imparata per corrispondenza. Nel frattempo, si sposa con un giovane conosciuto ad un ballo ma che, fin da subito, realizza di non amare. Lui è semplicemente un altro modo per poter sfuggire alle soffocanti pareti di casa Duval, l’ennesimo tentativo di fuga da parte di Colette che nel marito non trova un confidente ma solo un estraneo con cui condividere le pareti di casa. Nient’altro. Eppure, per un po’ il tacito accordo fra i due sembra andare bene: vivono su due piani diversi dell’abitazione e ognuno segue i propri interessi, senza disturbarsi a vicenda. Colette Duval però non è una fan dei compromessi: supera sia l’esame teorico che pratico di paracadutismo, eseguendo i quindici salti regolamentari con apertura automatica. Il tutto le sembra estremamente naturale, come una semplice propagazione delle mosse che ha imparato durante i suoi anni da ballerina.
Parigi
È nella libertà del cielo che si estende tutto intorno a lei che Colette Duval capisce che deve ampliare le proprie vedute. Ad un anno dal suo matrimonio, divorzia dal marito che comunque accetta ad accompagnarla in stazione per augurarle buona fortuna. La neo-paracadutista, infatti, ha già un nuovo piano in mente: andrà a Parigi, verso la “grande avventura”, con ventimila franchi in tasca e uno zio, “pecora nera della famiglia”, ad aspettarla.
Nuovamente, le sfide che le si presentano davanti sono tante: al contempo trova lavoro come steno-dattila in un ufficio senza sorrisi o gentilezza e una stanza in un albergo che sembra uscito da un incubo. Le notti sono lunghe, le giornate piene di fatica e Colette non sa veramente cosa fare. Andata è la gioia clandestina che l’aveva invasa quando aveva visto comparire il profilo di Parigi dal finestrino del treno; ora tutto quello che le rimane è aggrapparsi con forza all’arrivo delle domeniche, sacrosante e dedicate unicamente ai suoi salti nel vuoto. Così i mesi procedono tra alti e bassi fino a quando, una sera di settembre, il maestro di Colette, Sam Chasak, le parla in tono sommesso di un tirocinio che inizierà il giorno successivo a Saint-Yan dedicato alla disciplina del paracadutismo civile, disciplina nata da poco tempo.
Finalmente in volo
Colette non lascia passare neanche un secondo prima di accettare, lasciandosi alle spalle Parigi e il lavoro d’ufficio. I tre mesi di tirocinio l’istruiscono all’arte della precisione, al calcolo millimetrico dei secondi necessari a tuffarsi in sicurezza. Il brevetto alla fine è suo e Colette prende propriamente il volo.
Nel 1955 si lancia sopra Cannes da un’altitudine di circa 8600 metri, ma il vento è forte e cade in acqua, rischiando di annegare sotto il peso del paracadute. Avrebbe dovuto essere un salto da record ma la mancanza di precisione rispetto all’altezza del salto non glielo permette. L’anno successivo inizia una relazione, altamente pubblicizzata, con lo stuntman Gil Delamare e presto per la stampa e il gossip i due diventeranno “la coppia della morte”. Colette e Gil, infatti, amano unire l’utile al dilettevole, girando il mondo alla ricerca di nuove esperienze al limite della follia. È così che in Brasile si lancia sopra la baia di Rio de Jainerio da un’altitudine record di circa 12.080 metri, di cui 11.747 in caduta libera. Il suo paracadute, infatti, si apre dopo 3 minuti e 18 secondi quando solo poco più di 300 metri la seprano dall’acqua. Il salto è straordinario, ma sin da subito le viene detto che il record non potrà essere certificato a causa di una serie di mancanze procedurali e organizzative. Burocrazia, ma per chi si lancia da 12.000 metri per aprire il paracadute a 300 metri dall’acqua la burocrazia è solo un dettaglio che non vale il coraggio.
Quello che rimane
Nel 1960 purtroppo una brutta caduta la spinge a salutare per sempre il paracadutismo che però continuerà a salutarla come una delle sue più grandi rappresentanti. La sua fama la precede e, negli anni subito successivi al suo “pensionamento”, Colette compare in numerosi film, accompagnata da un sorriso timido, quasi dubbioso nel cercare di capire come sia possibile che una timida bambina della campagna francese possa muoversi nel grande schermo.
Muore nel 1988 e viene sepolta accanto al suo Gil, l’amore con cui ha condiviso il resto della vita.
Il primo film in cui compare si chiama Salva te stessa. Non è eccessivo credere che, se mai ci fosse un film dedicato alla rocambolesca vita di Colette Duval, un titolo simile sarebbe oltremodo perfetto.