Non si può avere una memoria dello sport romano senza accennare alla Bocse – a Roma si chiama ancora così – che è stata sempre popolare in tutti i sensi possibili.
Ogni quartiere aveva la sua Scuola di Pugilato e spesso nelle feste patronali si organizzavano veri e propri tornei con le piazze piene di tifosi.
E in ogni quartiere si poteva trovare un personaggio sul tipo di Peppe er pantera, l’ex pugile un po’ suonato portato sullo schermo da Vittorio Gassman ne I soliti ignoti di Mario Monicelli.
Le Scuole più famose erano, e sono, indifferentemente in quartieri borghesi e quartieri popolari e a segnarle su una mappa diventerebbero le tappe di una Guida romana tutta particolare.
Solo per dirne alcune, a mia memoria ne trovo a pochi passi dal Colosseo, a Centocelle, in Prati, ai Parioli, al Quadraro, alla Montagnola e sicuramente ne dimentico qualcuna.
Ai miei tempi le Scuole di Pugilato erano frequentatissime e ne uscivano diversi campioncini che magari non andavano oltre qualche match di quartiere, inutile per la grande fama, ma abbastanza per pavoneggiarsi con le ragazzette di zona ed essere invidiati un po’ da tutti gli altri giovani.
Il massimo splendore dilettantistico coincise con le mitiche Olimpiadi di Roma che videro il pugilato italiano uscire trionfatore con tre medaglie d’oro (Benvenuti, Musso, De Piccoli), tre d’argento (Zamparini, Lo Popolo, Bossi) e una di bronzo (Saraudi).
Più di qualcuno di loro si affermò poi tra i professionisti e i romani accorrevano in massa al Palazzo dello Sport a tifare per loro.
Di fatto Roma impazziva per la bocse e la boxe impazziva per Roma.
A mia memoria il primo pugile che mi fece fare nottata fu Mario D’Agata che era sordo-muto e perciò, nella nostra fantasia popolare “li cazzotti nun li sentiva”.
Il 29 giugno del 1956, davanti a 38.000 spettatori, sul ring montato allo Stadio Olimpico, D’Agata che si era guadagnato il soprannome di piccolo Marciano, diventa campione del Mondo dei pesi gallo vincendo per ko tecnico contro il franco-algerino Robert Cohen.
Ce ne furono poi tanti altri di incontri, ma l’apoteosi fu il 4 marzo 1968, quando la metà del popolo italiano fece l’alba ad ascoltare la radiocronaca commossa di Paolo Rosi quando Nino Benvenuti divenne Campione del Mondo nel suo terzo incontro contro Emile Griffith al Madison Square Garden.
Tra campioni, vittorie e sconfitte, ci sono stati anni in cui la bocse era l’argomento preferito nei crocicchi dei bar e il Palazzo dello Sport era sempre pieno malgrado i biglietti fossero piuttosto cari.
E in questi crocicchi i racconti fiorivano, le parole andavano libere e spesso capitava che qualcuno dei protagonisti che dai ring di quartiere era riuscito a fare qualcosa in più, si affacciava per dire la sua e creare leggenda.
Di uno di loro ho un buon ricordo.
Morto da poco, era stato al tempo un buon medio-massimo e amava passare qualche ora nel bar che è quasi all’angolo tra via Merulana e via Labicana.
Quando passava non mancava mai di raccontare e condire con voce un po’ impastata come se fosse sceso dal ring pochi minuti prima qualche aneddoto dei suoi incontri, ad esempio di quando in un match per il campionato europeo…L’avevo messo giù du’ vorte…me so’ avvicinato pe’ finillo…e m’è arivata na sgabellata sull’orecchio sinistro (traduzione: un gancio destro))…me so’ risvegliato praticamente negli spogliatoi…tant’è vero che m’hanno sospeso er patentino…ma io nun ce so’ stato…ho chiesto ‘na visita superiore…e er patentino…m’hanno proprio levato …”.
Ecco, tra campioni, vittorie e sconfitte, c’è stato un tempo in cui a Roma di bocse si parlava così.