1960, circuito di Modena, Coppa d’Oro ACI.
Sei quasi alla fine della gara, ti sembra già di sentire le urla delle persone accalcate vicino alla linea del traguardo quando con la coda dell’occhio vedi avvicinarsi una macchina sfocata che in un battito di ciglia ti raggiunge e sorpassa.
Chi può essere? In un secondo il tuo stupore si trasforma in rabbia quando il tuo sguardo si ferma su una scritta ormai tremendamente familiare: Sayonara!
È lei, ancora lei, è l’auto di quella corridrice, Ada Pace.
La corridrice
Gli altri piloti prima della partenza ne avevano parlato. Non dovrebbe neanche stare qua, ha iniziato con le moto perché non potevano continuare a gestirsela loro? dicevano e tu ci avevi riso sopra.
Ci avevi riso perché mentre loro parlavano a te era tornato in mente l’episodio del ’51, alla Torino-San Remo, quando gli altoparlanti avevano gracchiato, quasi stupiti, che l’auto che avrebbe raggiunto il podio per essere premiata sarebbe stata quella di una donna, oltretutto accompagnata dalla madre a bordo, e tu avevi pensato che sarebbe stato solo un caso isolato, buono solo per far notizia sui giornali.
E invece eccoti qui a mangiare la polvere di una che fino a poco tempo fa non aveva neanche una macchina decente con cui gareggiare.
Lo stupore è tale che rallenti talmente tanto da farti superare ancora e ancora, mentre la folla che tanto speravi urlasse il tuo nome si riversa invece verso quella donna minuta che pare si debba ancora riprendere dall’emozione della vittoria.
Non sarà mai una pilota
Poi arriva il colpo di teatro.
Al momento della premiazione non riesci a nascondere un minimo di soddisfazione quando il secondo e il terzo classificato non si presentano e lei è sola su quel podio che non le sarebbe dovuto spettare di principio.
Eppure, sotto la bruciante delusione di non aver vinto, quello che ti colpisce non sono le spalle basse di chi si dovrebbe vergognare di stare in un mondo che non è il suo, come ti aspetteresti, ma lo sguardo fiero e contento della corridrice Ada Pace che, nonostante tutto ancora nessuno di voi corridori chiama pilota.
Non è l’ultima volta che la vedrai e sicuramente neanche l’ultima in cui i suoi piedi, nel non taciuto stupore e persino disappunto dei presenti, saliranno il primo posto del podio. Che in fondo, a te questa cosa ti diverte pure.
Eppure accade
Poco a poco la storia di una ragazza torinese dedita al motociclismo, presa fin da giovanissima nella scuderia Piaggio e poi dedicatasi unicamente alle corse d’auto, sia con il nome di Ada Pace sia con l’ormai famigerato Sayonara, è sulla bocca di tutti.
Per quanto tu e gli altri piloti continuiate a borbottare che il suo posto dovrebbe essere in cucina a sentire i resoconti delle gare via radio, non potete evitare che lei, con le sue storie e le sue immagini, entri prepotentemente nei vostri pensieri.
È ancora fresca la memoria, ancora bisbigliata quando Ada Pace passa vicino ai blocchi di partenza, dell’ultima edizione della Mille Miglia, quelle del ’57, e di come vicino Porto San Giorgio abbia colpito un albero con una forza tale da perdere una portiera nell’urto, costringendo così il commissario di percorso a non permetterle di concludere la gara.
Quando poi, nel leggere la notizia, sei arrivato al punto in cui Ada Pace, impossibilitata nel comunicare con i commissari di gara perché dall’altra parte del fiume che divideva in due il percorso, si è gettata in acqua per raggiungerli, hai pensato per un attimo a un’allucinazione del giornalista. Ma è stato appunto solo un attimo; avendola vista dal vivo, ci hai messo pochi istanti a convincerti che potesse esserne stata capace.
Di lei ad un certo punto hanno iniziato a parlare tutti; voci famose che elogiavano questa donna che non temeva di mescolarsi nella bolgia di bordo pista composta da piloti, fotografi o meccanici, voci come quella di Enzo Ferrari, di Cesare Florio o dei fratelli Maserati.
Quando non sei anche tu dentro quella bolgia di metallo e olio da motore che sembra non si levi mai del tutto dalle dita, segui a distanza la sua carriera e le sue prodezze che spesso superano il confine italiano e rivivi così l’adrenalina che ti assaliva quando le gareggiavi contro.
La Dodici ore di Monza
È alla Dodici ore di Monza del 1961 che di nuovo soffochi un grido di stupore quando, stavolta dagli spalti scomodi del circuito, vedi la Giulietta targata Sayonara decollare come uno di quei razzi spaziali che promettono il futuro dalle copertine dei rotocalchi.
È una scena drammatica, il volo a mezz’aria si spegne con scintille e fragore di metallo sull’asfalto e per un secondo i rumori intorno a te sembrano spegnersi mentre nella tua mente pensi che forse tutte le cattiverie degli avversari stavolta hanno fatto effetto.
Ti guardi intorno, veloci e spiritati gli occhi cercano i soccorsi, il tempo che fino a qualche istante prima sembrava essersi fermato sembra riacquisire la solita velocità quando avverti, tra il fumo e l’odore acre di benzina, dei tonfi sordi provenire dalla macchina capovolta.
La folla ti spinge mentre si avvicina al bordo degli spalti e insieme trattiene un sospiro quando tra i vetri infranti del lunotto posteriore vede emergere Ada Pace, ormai pilota senza paura che si lancia in una folle corsa (questa volta a piedi) appena in tempo per evitare fiamme e detriti che la Giulietta ormai morente lancia verso il cielo.
Per un secondo ti scordi che quella fenice è la stessa donna che solo poco più di un anno prima avevi deriso con i tuoi colleghi, schernendola e rifiutandoti di festeggiare con lei le sue vittorie che non avevi mai visto al pari delle tue. L’adrenalina di quei pochi istanti si mescola con il peggio che avevi pensato di lei ogni volta che il nome Sayonara era comparso tronfio sulla prima pagina delle cronache sportive.
La donna che, invece, adesso vedi di fronte a te non è più la casalinga che pensavi avesse solo confuso le corse per un hobby domenicale, ma una donna indomita che con onore si sta levando davanti a centinaia di persone il suo iconico casco rosso, ultimo pegno d’amore del suo compagno Giulio Cabianca, pilota che la pista se l’è portato via da qualche tempo.
Con il fremito di energia che ti corre in corpo vorresti fare qualcosa, qualunque cosa: correre ad abbracciarla, chiederle scusa o forse solo unirti alle grida entusiaste della folla che sembra essere sopravvissuta anch’essa a quel folle incidente.
Poteva un incidente fermarla? Ovviamente no.
Non la ferma nessuno
Ada Pace ha continuato a macinare vittorie, conquistando piste difficili senza mai perdere quel suo atteggiamento di padronanza assoluta delle cose e del tempo..
Nel 1964 mentre leggi i risultati della 1100 km di Nurburgring, gli eventi della folle giornata del ’61 ti ritornano vivi alla mente: Ada Pace ha avuto un altro incidente.
Ti affretti a leggere più attentamente la dinamica del tutto e ancora una volta ti viene in mente che il cronista abbia calcato la mano con l’immaginazione.
Leggi che la Flaminia Coupé della corridrice si è ritrovata con il filo dell’acceleratore rotto all’altezza del pedale e Ada Pace ha pensato bene di sfilare il filo dal cofano, farlo entrare dal finestrino e guidare in questo modo fino ai box, con i guanti tagliati e le mani sanguinanti.
Devi riprendere fiato ma un sorriso si fa strada sulle tue labbra: quella donna, magnifica, ce l’ha fatta di nuovo!
Non t’importa neanche più chi abbia effettivamente vinto la gara, per te c’è già una campionessa morale.
Pochi mesi dopo è il turno del Rally dei Fiori quando, per l’ennesima volta, Ada Pace mette alla prova la sua fortuna e la tua salute quando lo speaker radiofonico che commenta la gara annuncia che la sua macchina si è schiantata contro un camion che procede in direzione opposta ma che, ancora una volta col sapere del miracolo, lei ne è uscita incolume.
Poi si ferma lei
Non si fa in tempo a finire di commentare questa ennesima follia che un comunicato annuncia il ritiro di Ada Pace dal mondo delle gare automobilistiche.
Da una parte sei dispiaciuto, non hai mai neanche avuto realmente la possibilità di avvicinarla per una stretta di mano e un veloce “Ti ricordi?”, ma sai bene come con una vita come la sua ad un certo punto sia necessario scalare di marcia e riprendere fiato.
Passano gli anni e le gare automobilistiche per te ormai sono diventate un ricordo che si riflette dagli articoli di giornale appesi al muro del salone di casa, compagne silenziose delle gare che segui in diretta.
Anni in cui nessuno parla più della (ormai) pilota Ada Pace, tranne qualche sporadica intervista come quella del 1990 quando con voce fiera ha ricordato del clima di tensione con i suoi colleghi maschi o della sua convinzione di poter ancora far mangiare alla polvere a tanti altri.
Ora glielo puoi dire
È nel 2016 che senti di nuovo un presentatore del telegiornale parlare di lei.
Il 15 novembre.
Ada Pace si è spenta all’età di 92 anni.
Anche tu ormai non sei più tanto giovane, ma la notizia comunque ti spiazza, eri convinto che una donna che per così tanto tempo si è divertita a ingannare la morte sarebbe riuscita a farla franca per sempre.
In televisione fotografie e filmati del tempo fuggito si inseguono tra loro e adesso sono in tanti a scoprire la tua storia, ma a te che la memoria non ti ha ancora lasciato, quelle immagini fugano la tristezza del momento perché ti rimettono davanti a quegli occhi pieni di speranza e di voglia di vita che Ada Pace si portava addosso.
È così che alle immagini che scorrono fanno eco quelle parole che non hai mai avuto la possibilità, o forse il coraggio, di dirle ma che adesso sei sicuro lei possa sentire.
Ada Pace sei una dei piloti migliori che io abbia mai visto.