In Italia Alessandro Gamba è il basket e sottolineo la parola basket. Senza di lui saremmo ancora fermi alla pallacanestro. Classe 1932, milanesissimo, il 25 aprile del 1945 mentre gioca a pallone con altri ragazzi in via Washington finisce nel bel mezzo di una sparatoria tra partigiani e tedeschi e viene ferito a una mano. Per la riabilitazione gli consigliano la pallacanestro, che per l’appunto si gioca con le mani. Dopo qualche mese assiste a una partita tra la Borletti e una selezione dell’esercito americano che sfoggia delle fiammanti tute di raso rosso. Sarà un imprinting indelebile per lui.
È entrato così Alessandro Gamba nel mondo della pallacanestro e, da allora, non ne è più uscito
Quando si giocava ancora sui campi all’aperto, Gamba c’era con la maglia del Borletti campione d’Italia. C’era quando all’inizio degli anni ‘50 il profeta Elliot Van Zandt allenava la nazionale e cominciava a spargere il verbo del vero basket con quelle 3 parole magiche, “foundamentals, foundamentals, foundamentals”; c’era e assimilava, eccome se assimilava. Quando la nazionale italiana arrivava quarta alle Olimpiadi di Roma, Gamba c’era con i gradi di capitano di quella squadra. Quando esplode il basket boom e le squadre italiane cominciano a vincere in Europa, Alessandro Gamba c’era, prima come vice di Rubini sulla panchina del Simmenthal, poi come allenatore, erede del leggendario Aza Nikolic, della grande Varese. Infine, quando la nazionale italiana vince l’argento ai Giochi di Mosca nel 1980 e lo storico oro agli Europei dei Nantes nel 1983, Alessandro Gamba c’era e allenava quei formidabili azzurri.
Guardare avanti
Alessandro Gamba è stato un ottimo giocatore (10 scudetti), un grande allenatore, ma soprattutto un uomo che sapeva guardare avanti. Il primo a capire che, per progredire, la nostra pallacanestro doveva guardare oltreoceano, verso gli Stati Uniti, la vera mecca di questo sport. E allora via con lo studio dell’inglese per attingere direttamente dai grandi coach americani tattiche e metodi di allenamento da noi ancora del tutto sconosciuti. Fa niente se qualcuno lo sfotteva un po’ per questa sua mania dell’America, bastava il consenso del principe Rubini, uno che con la lingua inglese non è mai andato d’accordo e che si vantava di non capire niente di tecnica ma che aveva il naso fino e capiva come la strada scelta da Alessandro Gamba fosse l’unica per trasformare la pallacanestro italiana in basket.
La laurea americana
L’America gli era talmente entrata nel sangue, da spingerlo addirittura a partecipare, e superare, a una selezione della NASA per aspiranti astronauti. Poi per gli impegni famigliari fu costretto a rinunciare all’avventura spaziale.
Nel 2006 dagli States gli è arrivata anche quella che Alessandro Gamba, … ops Alexander Leg, considera la sua laurea: l’ingresso nella Hall of Fame del basket, terzo italiano dopo Rubini e Meneghin.