Fianchi larghi, ombelico del mondo, con il seno cadente sulla pianura padana. Maestria gucciniana, di ricordi del passato, in corpore e vivi oggi nel buon ritiro di Pavana, descrivono quella che fu una delle città più importanti a livello europeo intorno al 1200. Città di anfitrioni, dotta, rossa, grassa, ma anche ribelle e “meridionale”, capitale morale di portici e torri, ma anche di geni assoluti come Dalla, Morandi, Carducci, Marconi, che tra le sue cinta protegge e crea. Crogiolo di cultura italiana, tra la “Via Emilia e il West”, lo studium, Bologna è patria dei colori rossoblù, Felsina, di leggende come Bulgarelli e Angelo Schiavio, ha nei gradoni dello stadio Dall’Ara un legame indissolubile con l’arte della città, tra questi un bolognese d.o.c, ràgaz rossoblu, protagonista della storia della musica leggera italiana e della sua gente, che da sempre porta avanti l’identità di “Bononia”: Andrea Mingardi.
Golden Rock Boys e il marziano che mangiava cipolle
Le mescolanze, soprattutto in ambito musicale, producono sempre geni assoluti. Pensiamo idealmente a Lennon o Hendrix. Figli di terre diverse, lontane, che si intersecano, che puntualmente elaborano nella loro creatività, rendendoli unici. Figlio degli anni 40, Mingardi è meridionalmente padano. Passionalmente per metà siciliano e papà bolognese, è un filo creativo legato da sempre allo sport, e alla musica. Sixties, ventenne arguto, forma uno dei primissimi gruppi rock’n’roll italiani: i Golden Rock Boys. Ma è un tumulto, un vulcano, e negli anni 70, il suo verbo compositivo è in dialetto bolognese e il suo messaggio innovativo lo mette nel brano A io vest un marzian, dove immagina il ritorno di un alieno che torna sulla terra per respirare un po’ di aria salubre, mangiando cipolle. Lì crea il suo “circo volante” poi, con l’Andrea Mingardi Supercicus. In quella bolognesità, si inizia a creare un’epoca di “rivolta”, Bologna è un viatico mondiale di sottoculture di contrasto. Se oltre la manica si chiamano “art shools”, ovvero laboratori sperimentali di idee e progetti controcorrente. Una piccola nazione underground che vede nel DAMS una corrente nuova, propositiva, con capisaldi come Andrea Pazienza e neonate radio libere che si espandano nell’etere, come l’esperienza di Radio Alice. L’onda pervade la vena enfatica di Mingardi, che elabora il suo “Pus”, disco dalla maschera “demenziale”, ma dalla forte mina vagante punk, che fa capire tutto il suo essere pioniere della musica. L’essenza è il suo animo fortemente influenzato dal blues, dal rock sino al jazz e dalla pelle fortemente resistente alle classiche “mode”, guarda al sud, lo farà ben presto dedicando una sua versione alla città partenopea.
O’Soul Mio tra Battisti, Mina e Celentano
La capacità di un artista, nell’essere immenso e ineguagliabile, la ritrovi nella sua capacità di esser sé stesso e soprattutto nel non ripetersi mai. Mingardi guarda a sud e all’America. Come il più grande di tutti, il re del rock’n’roll, Elvis Presley, che ripropone una sua versione personale di ‘O Sole mio intitolandola It’s now or never. L’anno è il 1995 e al Festival di Napoli il nostro anfitrione bolognese sorprende tutti con il grande classico reinterpretato in chiave soul. Estrosità, talento, e anche coraggio, davanti al popolo partenopeo, lui, di madre meridionale, è nettamente nel suo mondo. Al suo mondo di far musica, sempre un passo avanti, e mai con lo sguardo rivolto al passato, si avvicinano le nuove generazioni, ma la sua arte, tra il no border e il no-order, gli permette, nelle fasi di scrittura e ricomponimento, di elevarsi tra le alte sommità di artisti come Dalla, Mina e Celentano. Tra i suoi gioielli, una versione di Io vivrò (senza te), che gli regala la vittoria al programma televisivo Mina contro Battisti. Alla sua maestria di artista dal background infinito, unisce la caratteristica di far propri alcuni dei più importanti classici della musica leggera italiana. Una enormità di influenze, dal soul, a Frank Zappa, ma anche Tom Waits e gospel, ci restituiscono un poliedrico musicista, interprete e scrittore, che varca la soglia della musica e riempie ampi spazi creativi anche nella scrittura e nel cinema, una figura mai fine alla sua arte, ma che si contraddistingue ed evade dagli schemi, pur rimanendo legato a radici fortemente popolari.
Bologna I love you
Il calcio è fatto di personaggi indimenticabili, storie e calciatori che oggi non esistono più, che mettevano dinanzi alla professionalità e alla carriera il loro lato umano. La musica e lo sport, da sempre si intersecano grazie al racconto, fatto di inchiostro e passione. Giacinto Facchetti e Gaetano Scirea, hanno incarnato per gli annali del calcio, la figura di eroi silenziosi, evincendo a livello nazionale il loro senso di appartenenza. Calciatori umili, con in tasca il senso della fatica e del dovere, giganti prestati allo sport. Lì che l’estro e la fantasia dei musicisti, vede e decanta la memoria di due icone del calcio italiano, descrivendone la loro impassibile professionalità, esaltata dal loro senso del dovere. Mingardi narratore, tifoso, uomo, ha nel suo sangue l’essere bolognese. Lo fa nel “lontano” 2011, regalando agli Stadio un suo piccolo capolavoro intitolato Giacinto e Gaetano, ma il senso di appartenenza, verso la città, la maglia e i colori, inizia nel 1956, quando fa parte delle giovanili nel ruolo di portiere. Ma il suo essere felsineo è qualcosa che va oltre il calcio, la “bolognesità”, lo trasforma in un grandissimo tifoso della Virtus. Mingardi ricordando Walt Wiltman, contiene moltitudini. È un romanzo in continuo movimento, come la sua musica ha la capacità di passare dal jazz al rock sino alla musica d’autore, passando per il blues e nel mezzo scrivere per i più grandi artisti della musica italiana, con uno sguardo sempre vivo, ma radicato, nella sua Bologna e nella sfera di cuoio, del passato, come quando scrive Il Cuore Rossoblù o diventa recente narratore del docufilm Bologna I Love You. È un antico viatico, testimone del tempo, che oggi vede la città essere protagonista internazionale, in Champions League, tappa storicamente e sportivamente da segnare in ogni almanacco calcistico, e i versi sono già pronti, scritti dal nostro “padrone di casa”: Bologna in Champions League.
272 presenze e 40 Goal. La Nazionale Cantanti
Giulio Rapetti, meglio conosciuto come Mogol, ebbe l’idea nel 1981. Fondare una nazionale di calcio formata da cantanti e con solo scopo benefico. Sebbene ripescando nel passato la prima partita in assoluto della squadra è databile nel lontano 1969, e un altra contro il team degli attori nel 1975 (dove giocò per l’unica volta Lucio Battisti), tra i cofondatori della “squadra della canzone italiana” c’è anche Andrea Mingardi. Un’istituzione oggi, insieme al record man di presenze in assoluto, Paolo Mengoli, primo in classifica con ben 440 presenze. La nazionale, nel corso degli anni ha tenuto sempre fede ai valori di sport, intenso come solidarietà e beneficenza. Un lato umano, empatico, di fratellanza, che ha sempre scavalcato i concetti di divisione e arrivismo, che nel 2006 ha visto eleggere alla carica di vicepresidente l’eclettico artista bolognese, nella speciale lista di presenze al quinto posto con 272 partecipazioni e ben 40 Goal. Lui, figlio di una città che da sempre è aperta ai vari linguaggi universali, operosa d’animo ma anche “dotta” nella sua cultura ampia e internazionale, è da oltre quarant’anni arruolato tra le fila calcistiche di chi scende in campo per motivi sociali ed educativi. Meglio di una medaglia olimpica, forse, chi sceglie di essere e far parte della squadra della solidarietà, chi vive ancora oggi ,con estremo orgoglio e riconoscimento, all’ombra dei portici e delle torri della Garisenda e degli asinelli, chi ha portato per oltre cinquant’anni la sua idea di Bologna nel mondo, con influenze internazionali è scrittore, pittore e autentico cantore ed esponente di mille anime, tutte confluite in un unico artista, che come nel XII secolo era un tra i più importanti centri abitanti d’Europa.
Come a dire Mingardi è Bologna e quel ragàz è tutto il suo mondo.