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Baracca Faggioni. Il Mare come destino

La Baracca Faggioni di Cadimare è la testimonianza di come il Mare possa essere un destino. 100 anni di mani e di sapienza che hanno accompagnato la messa a mare e la cura di barche che sono vere e proprie Opere uniche, come può essere unico solo il lavoro delle mani. Lo scorso mese di ottobre il Maestro Francesco Faggioni ha preso il largo. A saluto della sua Opera riproponiamo l'articolo pubblicato dal notiziario del Centro Studi Tradizioni Nautiche nel giugno 2020.
Baracca Faggioni

Il borgo marinaro di Cadimare la conosce come Baracca. Da sempre essa rappresenta un esempio per tutti coloro che, lavorando con il Mare, hanno fatto di questo luogo un punto di riferimento per costruzioni e riparazioni di barche e un punto di incontro ove ascoltare incantevoli storie di mare e scambiare quattro chiacchiere con chi per anni ha aperto, ogni giorno, questa operosa bottega.
La Baracca Faggioni è un piccolo e semplice capanno di 8 metri per 5. Il tetto in lamierino ondulato, le pareti esterne in doghe di larice incuneate nel pavimento di larghi tavoloni di pino.
Essa è l’ultima testimonianza, nel golfo di La Spezia, di un laboratorio-fucina del “Mastro d’ascia”. Testimonianza di come il Mare possa essere un destino.

Una storia di famiglia

Costruita nel 1920 da Guido Faggioni e dai suoi fratelli, tutti maestri d’ascia, di fronte alla propria dimora in un’area oggi di proprietà dell’Aeronautica militare, è una delle più datate concessioni demaniali del Golfo dei Poeti. Negli Anni Trenta, quando il Regime impose a Cadimare la costruzione di una base per idrovolanti, la Baracca venne fatta slittare fino all’attuale sito, prospiciente il mare.
In questo luogo le barche si concepivano, si tracciavano e si costruivano con il “garbo”, ovvero con quella sensibilità che è anch’essa parte, forse la più importante, di quello che oggi chiamiamo “know how”; la stessa sensibilità che è alla base di qualsiasi arte quale quella del mastro d’ascia, progettista e interprete di ogni scafo da costruire.

Baracca Faggioni
(Photo credit: Francesco Rastrelli)

Più che barche, vere Opere

Tra le molte imbarcazioni uscite dal laboratorio dei fratelli Faggioni la realizzazione, nel 1934 della nuova barca da regata per il Palio del Golfo. Un “violino” composto da ordinate di olmo, fasciame di Douglas di 6 mm di spessore che, per il suo straordinario peso di soli 54 Kg e per le rivoluzionarie forme dello scafo, dettò per primo i canoni del regolamento della prestigiosa competizione tra le borgate del Golfo. Regolamento rimasto in vigore fino alla fine degli anni Settanta quando un altro mito, progettato dal compianto Yacht designer Ugo Faggioni (figlio di Guido), costrinse i commissari a modificare le regole per porre fine alle ripetute e schiaccianti vittorie della ‘barca della borgata di Cadimare’.

Il Gatto Nero

Era il luglio del 1934 quando la madre dei fratelli Faggioni, Isolina, lasciò questa vita. Il competitivo ‘violino di mare’, di proprietà privata della famiglia Faggioni, come le precedenti che avevano rappresentato Cadimare nel Palio, venne pittato di nero per onorare il recente lutto. Vincendo anche quell’anno la rivincita del Palio, l’elegantissima imbarcazione passò alla storia come il Gatto Nero, e il suo mito ancor oggi aleggia nei ricordi dell’intera borgata.

Fucina di cuori e di asce

Gli anni passarono e la Baracca Faggioni divenne nel tempo sempre più attiva, una fucina da cui uscirono gozzi e canotti commissionati al buon Guido da varie parti del Golfo. Lì dentro si riparavano e si calafatavano tutte le imbarcazioni dei pescatori locali che affidavano alle mani esperte di Guido la loro preziosa fonte di sostentamento. Con la sua scomparsa, avvenuta nel 1977, la Baracca rimase parzialmente attiva grazie alla volontà dei figli Ugo e Francesco che videro in un “allievo” di Guido, Carlo Maddaluno, meglio conosciuto come Carletto, la persona più adatta per mantenere in vita quei metodi di lavorazione artigianale di cui già allora era iniziato il declino. Per anni, nelle ore libere, Carletto aiutava per puro diletto tutti coloro che necessitavano di interventi più o meno importanti sui loro scafi in legno.

Baracca Faggioni

Memoria di legno e di Mare

Dal 2006 Stefano Faggioni, figlio di Ugo e titolare del noto Studio di Yacht Design, insieme con lo zio Francesco, la offrono in prestito al Comune di La Spezia come ‘contenitore-museo’ di quello che fu la fucina di un grande maestro d’ascia.
La Baracca Faggioni è la memoria. Memoria storica e colta del nostro Mare, intonsa testimonianza di un puro e orgoglioso passato in cui il borgo ancora si rispecchia e dove riconosce le proprie origini opposte al caotico mondo contemporaneo. Tutto lì dentro trasuda mestieri ancora vivi e tutto restituisce armoniose note poetiche. Visitandola si coglie la bella sensazione di trovarsi immersi nei sapori di un tempo, tra migliaia di strumenti da lavoro perfettamente allineati, legnami a stagionare pronti per fasciare il gozzo iniziato da Guido e lasciato poi incompleto alla sua morte. Ecco il pentolino ancora colmo di pece cristallizzata, la stoppa e il maglio dentro la “marmotta” pronti per il calafataggio, gli odori e i profumi dei legni che in quel piccolo tempio hanno perso tutti i loro segreti.

La Baracca Fagioni vive

Il Gatto Nero è appeso alle travi come oggetto da museo entrato nella leggenda e nella storia di una borgata fortunatamente ancora molto attiva e bisognosa di risvegliare tradizioni perdute e, per questo, mitizzate. Stefano Faggioni vi crea piccoli eventi mentre lo zio Francesco accoglie regolarmente turisti, scolaresche e appassionati che si siedono ancora dentro alla Baracca Faggioni ad ascoltare le storie di Mare. Uomini della borgata ancora attivi e desiderosi di insegnare il proprio mestiere come Fabio Castiglia (ricordiamo l’esperienza del V Remo) vi si recano quotidianamente per mantenere in minimo movimento l’ingranaggio di una vita di mare che gira con il giusto ritmo lento e denso di poesia.
E la memoria rivive indenne come è giusto che sia… come nei paesi più civilizzati, come eravamo noi quando esaltavamo le nostre origini anche attraverso il mantenimento degli antichi mestieri.

Stefano Faggioni

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