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Brooklyn. Quel giorno alla Gleason’s Gym

Brooklyn, anni fa. Quel giorno alla Gleason's Gym la mia vita prende una nuova direzione. Non è stata la prima volta, ma è stata quella definitiva.
Wilson Basetta

Il mio primo giorno alla Gleason’s Gym di Brooklyn è iniziato anni prima a Roma, in via Tacito.
Può sembrare un paradosso, ma questa è esattamente la storia intima e profonda del mio pugilato.
Forse anche pensare al pugilato come un fatto intimo potrebbe sembrare un paradosso, eppure è proprio così perché salire sul ring ti mette a nudo con te stesso, ti fa prendere le misure e se le sbagli, te lo fa ricordare.

La Colombo Boxe

Quando sono arrivato in quella palestra in via Tacito ero poco più che un ragazzo; la Colombo Boxe è una storica palestra romana e io, che al tempo praticavo altri sport, ero andato lì più per curiosità di quartiere che per altro.
Poteva essere un giorno come tanti, ma non lo fu e anche se ci ho messo qualche anno per capirlo, quel giorno ha dato una forte sterzata ed un’altra direzione alla mia vita.

 

Colombo Boxe
(Photo credit: Colombo Boxe 1906)

Entrare nel portoncino di legno aperto su strada, scendere i gradini consumati di marmo e trovarmi in un altro mondo fu un tutt’uno. C’erano dei ragazzi che tiravano ai sacchi, altri facevano i guanti sul ring e nell’aria densa di odore di fatica si sentivano i colpi smorzati, gli sbuffi di fiato o le voci dei maestri urlare in testa a chi non si muoveva bene.
Movimento.
Ecco, se devo ricordare la cosa che più di altre mi colpì in quel momento fu proprio l’eleganza inaspettata di corpi, braccia e gambe che si muovevano cercando un tempo comune.
Movimento e tempo, uno dei segreti del pugilato.

Nel tragitto che mi portava a piedi verso casa, la sensazione che avevo provato si era trasformata dopo pochi passi in desiderio, dopo pochi altri in obiettivo e prima di arrivare al portone in un sogno.

Pugile prima del tempo

Il giorno seguente mi sono ripresentato alla Colombo con i soldi in mano, ho riempito un modulo ed in cambio ho ricevuto un tesserino grigio che era prima di tutto un segno di appartenenza, già mi sentivo un pugile anche se non avevo mai messo un guantone in vita mia.
Inizio così la mia trafila: corsette, corda, figure da fermo, specchio, sacco e, ovviamente, la voglia di salire sul ring dove i maestri non tardano a farmi arrivare.
Al tempo era così, forse più semplice e banale di oggi, ma se avevi un po’ di fisico e un po’ di carattere, sul ring ti facevano andare presto, quasi subito.
Il problema quindi non fu tanto salirci, ma rimanerci e vi assicuro che salirci da ultimo arrivato non fu un’esperienza facile visto che, tipicamente, tornavo a casa con un occhio nero, il mal di testa e, spesso, anche lo sbeffeggio dei più grandi.

Si cresce anche così, o almeno così siamo cresciuti io e quelli della mia generazione e, in ogni caso, io dal ring non sono più sceso.
Fatto è che tra me e quei guantoni che non avevo mai messo nasce una sintonia profonda; poteva capitare di tornare a casa segnato, anzi, capitava piuttosto spesso, ma io stavo bene lì sopra e soprattutto quando scendevo stavo bene con me stesso.

È così che il pugilato per me diventa non solo una disciplina, ma un abito mentale della vita.

Brooklyn. Anni dopo

Gli anni passano; il lavoro mi porta a New York e quando chiedo di qualche palestra da andare a vedere me ne indicano una dall’altra parte del ponte, a Brooklyn che allora non era ancora il posto che oggi attrae anche turisti, ma un sobborgo di periferia semiabbandonato, malmesso, frequentato male.

(Gleason’s Gym)

Comunque sia seguo le indicazioni e nel rabbuiare di un secondo pomeriggio arrivo alla palestra che mi avevano indicato.
Salgo le scale ed apro la porta, vedo un luogo abbastanza malconcio. Una palestra come tante, pensai.
Entro con la stessa curiosità del mio primo giorno alla Colombo, faccio appena in tempo ad adattarmi al riflesso di neon sbiaditi e a intravedere sul fondo alcuni ring dove tiravano dei ragazzi di colore che mi si piazza davanti una specie di armadio bianco dal viso butterato.

Mi guarda e non mi chiede nulla.
Mi dice solo una cosa: tu qui non puoi entrare.
Sorpreso, gli chiedo: Perché? Io voglio solo vedere la palestra, poi vado via.
Il butterato mi guarda e ripete la poesia a memoria: tu qui non puoi entrare, e tanto per accertarsi di essere stato chiaro mi si mette davanti in posizione di guardia.

Per litigare devi avere un buon motivo, io non ce l’avevo e soprattutto non ce l’avevo per litigare con lui e con tutti gli altri della palestra.
Vado via, torno in albergo e poi esco a farmi un paio di birre.
Con il carattere ci nasci, difficile che tu possa cambiarlo radicalmente e una cosa che non ho ancora detto è che io sono nato in Calabria, dove mi hanno insegnato a non abbassare mai il capo, a guardare le persone negli occhi e, soprattutto, a non accettare ordini da nessuno, a meno che non esista un motivo molto più che valido.

Il giorno successivo quindi il mio carattere mi riporta a Brooklyn e sono fortunato.
Davanti alla palestra un gruppo di ragazzi sta per entrare, io mi accodo, il butterato non c’è e così mi guadagno un posto su una panca di fronte ai ring dove altri ragazzi stanno già tirando.
Li guardo, mi perdo nel seguire i loro movimenti nei quali non riconoscevo i miei e quando il match finisce mi si avvicina un uomo che a raccontarlo sembra un film, ma era proprio grande, grosso e nero.

Tu un pugile?

Ebbene il tipo, indicando i ragazzi, mi chiede vuoi provare?
Calabrese, forte del mio pugilato, cresciuto alla storica Colombo Boxe di Roma e quindi nel centro del mondo, potevo rispondere solo in un modo: “Certo, sono un pugile, proverei volentieri” e quello, di rimando, senza scomporsi di un’unghia mi ribatte: “Tu un pugile? Tu non sai neanche cosa sia il pugilato”.
Calabrese, tosto, romano pugile della famosa palestra di via Tacito potevo prenderlo sul serio? Proprio no, anzi lo incalzo e dico io vorrei fare un po’ di sparring.
Non solo non sei un pugile, sei uno stanco di vivere e vuoi suicidarti”, mi ribatte e poi dice “Comunque ti accontento”, mi indica un ragazzino che avrà avuto neanche quindici anni, più basso di me, più leggero, e mi dice che con lui potevo fare quello che volevo, anche ammazzarlo, se lo desideravo.

Un bagno di umiltà

La prendo a ridere, lui anche, ma avrei capito solo dopo perché.
Mi preparo, salgo sul ring, mi infilano un casco, metto il paradenti, mi allacciano i guanti, cominciamo a tirare e mi serve poco per capire che il mondo è cambiato.
Il ragazzino boxa come non avevo mai visto fare, mi colpisce da qualsiasi parte, non affonda, ma se avesse voluto era lui che avrebbe potuto ammazzare me, faccio qualche altro tentativo cercando disperatamente di colpirlo, ma sembrava più una caccia alle mosche che uno sparring. Più tentavo di colpirlo e più venivo colpito.
Un bagno di umiltà unico.

Passa forse solo qualche minuto, mi fermo e vado all’angolo, l’uomo nero, grande e grosso, è lì che sorride sornione.

Chi è quel ragazzo?” gli chiedo.
È solo un pugile qualunque, ma te l’avevo detto, tu non hai idea di cosa sia il pugilato”.

Capisco la lezione, torno in albergo affranto, pieno di pensieri, ma mi sento come quando sono tornato a casa dopo il mio primo giorno alla Colombo. Devo tornare alla Gleason’s, a qualsiasi costo devo tornarci.

Nulla accade a caso

Rientro a Roma e faccio qualche ricerca, scopro così che quella dove ero stato non era una sfasciata palestra qualunque dove margini di umanità si prendevano a pugni, ma il tempio del pugilato mondiale.
Un campanello comincia a suonare nella mia testa, non posso fare finta di nulla e non posso né ignorarlo né tantomeno spegnerlo.
Attendo con grande impazienza che si ricrei l’opportunità di tornare a New York, ma quando mi rendo conto che la cosa va per le lunghe rompo gli indugi, mi organizzo e ci vado solo per tornare alla Gleason’s Gym.
Per me, in quel momento, contava solo quello.

La Gleason’s Gym

La mia vita pugilistica cambia così.
L’uomo grande, grosso e nero mi riconosce subito, non per particolare affetto presumo, ma solo perché vedendomi entrare aveva capito subito che la sua operazione di marketing aveva funzionato e che davanti a lui c’era un nuovo cliente, un pollo da spennare.

Inizio a lavorare con lui e capisco che sto entrando in un ambito diverso del pugilato, qualcosa che da noi non era mai arrivato. È così che, spinto sia dalla frustrazione dello scoprire che il pugilato che conoscevo era solo una minima parte di quello che c’era da sapere e sia dal fascino di quello che stavo scoprendo, i miei viaggi a New York diventano sempre più frequenti.
Ma il tempo delle sorprese alla Gleason’s Gym non è ancora finito.

Gleason's Gym Hector Roca
(Hector Roca)

Hector Roca

Un giorno, sceso dal ring dopo uno sparring e aver incassato qualche colpo di troppo, mi si avvicina un vecchio, e sia chiaro che vecchio è una parola nobile che solo la stupidità moderna può fraintendere. Si porta vicino al mio orecchio mi dice lascia perdere, se vuoi imparare il pugilato vieni con me.
Eccone un altro” penso io e chiedo: “Perché dovrei imparare da lei e non da un altro qualsiasi qui dentro?”
Perché io sono l’allenatore di Miguel Cotto e di altri venti campioni del mondo”.
Il vecchio che mi parlava era una leggenda vivente: era Hector Roca, ma anche questo l’ho scoperto dopo.

Il grande reset

Iniziamo a lavorare insieme ed ancora una volta devo cambiare la mia boxe, la condizione che mi ha imposto è che io faccia tutto quello che lui dice dimenticando tutto quello che ho imparato o che sono convinto di sapere.
Ricomincio dalla posizione di guardia, dai piedi, dalle mani e quando gli dico che io vorrei fare sparring, mi dice una cosa sola: “Lo sparring puoi dimenticartelo, lo farai solo quando avrai imparato a difenderti”.

Fu demoralizzante, ma aveva drammaticamente ragione.
Io non sapevo difendermi; nessuno mi aveva insegnato a capire le intenzioni dell’avversario, a parare un colpo, a schivarlo. Da noi la difesa era più affidata all’istinto, al riflesso, ma nessuno ne insegnava tecnica e dinamica, o solo poche cose.

Cambio vita. Ancora una volta.

Aveva talmente ragione che la mia vita subisce un’altra brusca sterzata, mi metto in aspettativa non retribuita dal mio posto di lavoro, riempio una valigia con il minimo indispensabile e mi trasferisco a New York, mi tessero come atleta senior così da poter risiedere negli Stati Uniti con il visto rilasciato per motivi sportivi e divento l’allievo del Maestro Hector Roca alla  Gleason’s Gym.
Seguo tutto quello che mi dice, ogni parola, dimentico tutto quello che mi era stato insegnato e comincio a capire che il pugilato è soprattutto gambe, osservazione, posizione di guardia costante e punti fondamentali da difendere e mi rendo conto che per la prima volta mi muovo su ring comprendendo il perché stessi facendo un certo movimento piuttosto che un altro.
Non è colpa di nessuno, ma semplicemente in Italia, nelle varie palestre che ho frequentato, nessuno me lo aveva mai insegnato.

Gleason's Gym Wilson Basetta e Hector Roca
(Wilson Basetta e Hector Roca)

Giù dal ring

Il primo risultato, non facile da digerire, fu che per due anni non misi mai piede sul ring se non per familiarizzare con le sue dimensioni, gli angoli e per fraternizzare con le corde. Il mio allenamento fu concentrato principalmente ad imparare tecniche di difesa perché senza sapere quelle Hector Roca non mi avrebbe mai fatto salire sul ring.

Il motivo era semplice, salire su un ring negli Stati Uniti avrebbe significato andare incontro e subire colpi molto più potenti di quelli che era abituato a portare e a parare io; Hector Roca non mi avrebbe mai mandato al macello.
Lui, da vero Maestro, mi ha trasformato, il nostro rapporto è cambiato e siamo diventati intimi, ed essere suo allievo mi ha fatto fare una sorta di “scalata sociale” all’interno della Gleason’s Gym.

Prima, quando passavo, i neri mi sputavano sui piedi, nello spogliatoio mi rubavano le cose, gente della palestra mi aspettò fuori e subii anche un’aggressione pesantissima che mi costrinse a un’operazione per la ricostruzione della mandibola.
Essere diventato l’allievo di Hector Roca mi portò il rispetto di tutti.

Il primo combattimento

Dopo una nuova parentesi italiana, necessaria per rimettermi dai postumi operatori, torno alla Gleason’s e dal mio Maestro.
Passarono poche settimane e mi disse che ormai ero pronto per il ring e il primo incontro me lo fece fare a sorpresa.
Il mio primo combattimento fu durissimo, presi subito un colpo, fortunatamente su un braccio, talmente forte che provai una sconosciuta sensazione di paura al punto che per un attimo pensai persino di scendere, perché se quel colpo mi fosse arrivato in un occhio avrei perso la vista. Ne ero sicuro.
Ma non andò così, il mio carattere mi trattenne su quel ring, ci rimasi fino alla fine e portando i miei colpi capii che il mio avversario provava le mie stesse emozioni perché avevo imparato a colpire così duro anche io.

Questa immensa esperienza mi ha fatto diventare ciò che sono, mi ha fatto cambiare dentro, mi ha portato a vedere e pensare in un modo molto diverso rispetto a prima e a riconoscermi in un impianto valoriale che mi guida ogni giorno in tutto quello che faccio.

La scelta di vita

Ma tutto quello che avevo imparato non poteva rimanere solo mio, iniziare ad insegnare il pugilato sarebbe stata l’unica naturale conseguenza dei miei anni trascorsi con il mio Maestro e degli enormi sacrifici fatti.

Wilson Basetta
(Wilson Basetta)

Ho scelto definitivamente l’insegnamento, ho scritto un libro su tutti i miei anni trascorsi alla Gleason’s Gym, ormai già dieci anni fa, ed ho lanciato una scuola di pugilato per i più piccoli, una scuola dove con il marchio WBBS, Wilson Basetta Boxing School, metto la mia faccia e il mio nome e non per una sola logica di marketing, ma perché è sintesi e specchio fedele dei valori che mi sono stati insegnati, che ho fatto miei e che adesso insegno a mia volta.

Se oggi sono l’uomo che sono, grande merito va dato alla boxe, al tesserino grigio della Colombo, alla Gleason’s Gym e al grandissimo uomo e Maestro Hector Roca.

Per il resto potrei ringraziare la mia voglia di non arrendermi mai, non tanto per vincere, ma per tentare di capire nel profondo la vita, e la boxe, il pugilato, “è” la vita.

 

Wilson Basetta all'anagrafe Maurizio Arena autore del libro Boxe at Gleason’s Gym (Edizioni Mediterranee). Nel 2015 ha vinto il prestigioso torneo U.S.A. GOLDEN GLOVES in qualità di tecnico insieme al Maestro Andrea Galbiati . Tecnico della Federazione Pugilistica Italiana e della U.S.A. Boxing Metro, insegna il pugilato alla MMA Boxing Center di Roma, ha una scuola di pugilato per ragazzi al Flaminio Real ed insegna a tutti coloro che hanno interesse e vogliono avvicinarsi al pugilato in maniera sana e corretta. Scrive romanzi, continua a studiare la chitarra, esce in mare a cercare le onde con il suo windsurf e prende lezioni di Brazilian Ju Jitzu Ha addestrato il personale dei Reparti Operativi Speciali dell'Arma dei Carabinieri. Realizza stage in Italia ed all’estero sulla tecnica del pugilato professionistico americano.

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