Non aveva mai avuto una vera grande occasione, Bruno Pace. Non l’aveva avuta da centrocampista di discreto talento e poi non l’ha avuta da allenatore. Per anni è stato considerato emergente, prima che i treni passassero e gli rimanessero soltanto gli accelerati di provincia. Nella memoria degli appassionati di calcio l’allenatore pescarese rimarrà soprattutto come guida del Catanzaro 1981-82, squadra che conquistò un settimo posto che a tutt’oggi rimane il miglior piazzamento di una squadra calabrese nel calcio che “conta”.
Il Catanzaro di Bruno Pace
Pace era arrivato dal Modena, dove aveva fatto molto bene, prendendo il posto di Burgnich e soprattutto dovendo gestire il malcontento popolare per la cessione di Palanca al Napoli. Il mercato del direttore sportivo Spartaco Landini fu coerente con le scarse possibilità finanziarie: in entrata Santarini dalla Roma, Cascione e Celestini dal Napoli, Edi Bivi dalla Mestrina e Palese dal Mantova, in uscita oltre all’idolo Palanca anche Chimenti (Avellino) e Orazi (Udinese), solo per citare le operazioni maggiori.
La squadra che aveva in testa l’allora trentottenne Pace prevedeva Zaninelli in porta, in difesa Menichini, Santarini e Ranieri (esattamente…il futuro allenatore Claudio), a centrocampo Boscolo, Braglia e Antonio Sabato, come tornante (allora si diceva così) il futuro opinionista di Sky Massimo Mauro, in attacco Borghi e De Giorgis. Non era “lo squadrone che tremare il mondo fa” ma sicuramente era una squadra discreta.
Una storia di rigore
Dopo un grande inizio, quasi da zona UEFA, il Catanzaro già salvo si rilassò e anche il suo allenatore iniziò a pensare al futuro. Il problema è che all’ultima giornata la squadra del presidente Merlo doveva ospitare la Juventus, a pari merito con la Fiorentina nella lotta per lo scudetto.
È passato tempo, ma il dubbio che non sia stata una vera partita non mi ha mai abbandonato. Dopo aver negato un calcio di rigore al Catanzaro, tra le proteste generali l’arbitro Pieri ne assegnò uno alla Juve. Provate a immaginare la reazione del pubblico. Ecco, provate, ma per quanto possiate immaginare sarete ancora lontani dalla realtà. In campo arrivò di tutto e solo dopo svariati minuti Brady segnò il penalty che dette lo scudetto alla Juventus.
Un uomo fuori moda
Da quella festa mancata in poi, tutto sarebbe andato male, per Pace e per il Catanzaro. Era uno degli allenatori del momento e dopo aver detto di no alle offerte del Napoli sembrò accettare quelle del Bologna, appena retrocesso in B, prima di cambiare idea e decidere di rispettare il contratto biennale con il Catanzaro.
Pace osservò il calciomercato (cessioni di Mauro all’Udinese, di Sabato all’Inter, di Borghi al Torino, di Celestini al Napoli) e si rese conto che il ciclo era finito ancora prima di cominciare.
Il 9 gennaio 1983 il Catanzaro perse 5-0 a San Siro contro l’Inter, in una partita in cui a causa della nebbia nessuno vide niente.
Il giorno dopo Pace fu esonerato. Sarebbe andato avanti ad allenare per quasi vent’anni, Pace, sempre con grande stile come persona, ma senza più essere di moda come tecnico.
Pretoro
Pretoro è un Paese in provincia di Chieti e ha un “posto di diritto” tra i Borghi più belli d’Italia, quindi del mondo. Poi ha una “posizione” quasi unica perché pur essendo nel Parco Nazionale della Majella è anche a meno di mezzora da Francavilla a Mare e allora non ci si deve meravigliare se nelle “villette” fuori dal Borgo ci abitava qualche “big”.
Bruno Pace era uno di loro, ma anche uno di noi.
Il Trofeo della Montagna
Nel tempo rallentato dei paesi di villeggiatura, agosto ha i suoi riti. Tra questi, immancabile da noi il Trofeo della Montagna. Inutile dire che una delle squadre partecipanti aveva in panchina Bruno Pace, che non disdegnò nemmeno di regalarci qualche fase di gioco.
Io ovviamente ero “neutrale” perché venivo da Roma e allora mi divertii ad arbitrare tutte le partite conquistando sul campo una confidenza spontanea col Mister. Lui era un “Gianburrasca”, faceva continuamente scherzi; sostituiva l’acqua delle borracce con un buon Montepulciano, entrava in campo per “soccorrere” uno dei suoi sopra uno scooter “rubato” a un ragazzetto per poi “aiutarlo” a riprendersi con un secchio di acqua che dire ghiacciata è dire poco. Indimenticabile quando nascose le chiavi del macchinone di un noto giocatore del Pescara per poi non ritrovarle più, con il poveretto costretto a chiedere un passaggio per andare a casa a prendere i doppioni, ovviamente senza potersi cambiare.
Quando gli chiesi se avesse mai preso sul serio il suo lavoro, mi rispose in dialetto. “Stèmm a juca a o pallon’…o cos’ serie so autr” disse e poi pensandoci un attimo aggiunse “Ho solo un rammarico: essere stato ad un passo dal prendere Laudrup, ho la presunzione di pensare che con me sarebbe diventato il più forte giocatore del mondo perché gli avrei tolto un po’ di quello che sopportava poco: la pressione!”
Altro calcio, altri uomini e altri tempi
Noi abbiamo giocato e ci siamo anche divertiti, lo abbiamo fatto il più seriamente possibile. Se credete che sia una contraddizione, tornate all’inizio e rileggete la storia.