Spettacolo nello spettacolo, questo il fil rouge che lega il calcio e attori come Totò, Alberto Sordi e Lino Banfi che ne hanno tradotto per il cinema italiano riti, caratteri e immaginario.
In principio fu Il presidente del Borgorosso Football Club. La commedia diretta da Luigi Filippo D’Amico e uscita nelle sale italiane, nel 1970, cronologicamente non è la più antica a esplorare le realtà di provincia dove il pallone funge da collante sociale di passioni e interessi, ma probabilmente è fra le prime a imprimersi nell’immaginario comune. Un contesto nel quale spiccano le doti interpretative di Alberto Sordi, alle prese con il ruolo di presidente di una squadra calcistica in una località romagnola fittizia, giunta come elettrizzante oggetto di eredità, quasi a compensare un impiego in Vaticano decisamente meno votato alle emozioni. Atmosfere agresti e canti dei galli che scandiscono il tempo degli allenamenti, disegnano un quadro dove l’umorismo sprigionato dai personaggi si muove in mezzo alle relazioni fra padroni e operai, presidente e tifosi, uomini e donne, genitori e figli di uno spaccato d’Italia di oltre mezzo secolo fa.
Ancora prima
Andando a ritroso, un altro principe della commedia italiana, Totò, veste i panni di presidente di una squadra di calcio, nel film Gambe d’oro di Turi Vasile, datato 1958.
Qualche anno più indietro nel tempo, nel 1953, il regista Anton Giulio Majano racconta con la sua cinepresa le dinamiche di cittadini comuni che intrecciano le proprie esistenze intorno a uno stadio dove è in programma una sfida fra Roma e Napoli. Titolo della pellicola è La domenica della buona gente, dove recita anche una giovane Sophia Loren.
Il filone comico
Dalle prime maschere interpretate da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, nel 1970, nella pellicola I due maghi del pallone di Mariano Laurenti, il calcio diventa un terreno da deformare per finalità comiche.
Il salto di un decennio in avanti, poi, avvicina ancora di più l’obiettivo della telecamera a umori, tic e nevrosi che accendono le rivalità fra fedi calcistiche.
Nel 1982, Pippo Franco alterna le scelte cromatiche del look del suo personaggio, nel film Il tifoso, l’arbitro e il calciatore di Pier Francesco Pingitore, fra le tinte estreme giallorosse e biancocelesti in funzione del credo romanista del padre e laziale del futuro suocero.
Oronzo Canà. Un caso a parte
Due anni più tardi irrompe la pellicola destinata a imporsi come autentico cult del genere, L’allenatore nel pallone di Sergio Martino. Ispirato alla vulcanica figura dell’allenatore Oronzo Pugliese, il protagonista è interpretato da un Lino Banfi abile a restituire, rielaborandoli con originalità, gli stereotipi del calcio italiano in ascesa degli anni Ottanta.
Dalle aspettative irrazionali del calciomercato alla superstizione degli addetti ai lavori, fino al tentativo grossolano di truccare un match. Eppure, il tavolo da cucina di casa Canà è sempre pronto ad accogliere commensali, in nome di uno spirito d’aggregazione popolare e circolare, proprio come il pallone collocato nel titolo. Gag, battute e situazioni equivoche consegnano agli occhi di chi la guarda un’opera consapevolmente non pretenziosa, ma impareggiabile sotto il profilo dell’effetto comico.
L’anno dopo, lo stesso regista girerà Mezzo destro mezzo sinistro – 2 calciatori senza pallone, con il duo Gigi e Andrea ancora nel cast, in una sorta di naturale prosecuzione del filone.
Il genere drammatico
La solitudine del vecchio dirigente, l’irreversibilità della violenza, il senso di vuoto che accompagna il ritiro del calciatore a fine carriera. L’intersezione fra il tema del dolore e le complesse traiettorie dello sport non manca di essere esplorata in tre soluzioni narrative diverse.
Nel 1987, Pupi Avati dirige Ultimo minuto. A prestare il volto al protagonista è un attore simbolo come Ugo Tognazzi. Il suo personaggio rappresenta una categoria di manager sul viale del tramonto, abituati alle salvezze in extremis delle squadre delle quali conoscono e maneggiano vizi e virtù. Sagome fuoriuscite da un mondo che cederà il passo a un universo dove il legame fra calcio e business è enormemente più profondo.
Il 1991 è l’anno di uscita di Ultrà, di Ricky Tognazzi. Un treno porta un gruppo di tifosi romanisti verso la trasferta contro la Juventus. La zavorra di dolore per un abbandono scoperto detonerà più avanti, liberando un carico di violenza alle cui conseguenze non si potrà purtroppo rimediare.
Nel 2001 esce L’uomo in più di Paolo Sorrentino, regista particolarmente sensibile al linguaggio del calcio. E proprio quella terra di mezzo fra i successi della vita d’atleta e la prospettiva di perdere ogni contatto con il proprio mondo, dopo un infortunio, è raccontata dalle sembianze di uno dei due protagonisti, interpretato da Andrea Renzi. Un personaggio leale e solitario che si lascerà andare a una progressiva rinuncia dietro l’altra.
Spostando la partita sullo sfondo
Indugiare sulle emozioni suscitate dal calcio giocato nel campo, o sulle vite fuori dal terreno di gioco e quindi dentro un nuovo campo visivo, è un interrogativo funzionale al film che si sta girando. A questo proposito, forse l’esito più efficace è Italia-Germania 4-3 del 1990, di Andrea Barzini. Se il titolo è immediatamente evocativo di una delle più coinvolgenti partite della Nazionale, la storia che verrà rappresentata non potrà che bilanciarne il carico emozionale. E allora una delle sfide più belle e avvincenti di tutti i tempi resterà a margine della narrazione, come espediente per calamitare all’interno di una villetta tre ex compagni di liceo. Se la partita, ritrasmessa in tv per il suo ventennale, conserva ancora un suo fascino, la giovinezza e gli ideali che accomunavano i tre amici hanno ormai preso il largo. Così, la telecronaca di Nando Martellini cala di tono per lasciare il posto al volume dei dialoghi dei protagonisti, ciascuno alle prese con un proprio senso d’inadeguatezza.