È vero, c’è un idolo per ogni tempo. Qualcuno con storie fugaci, qualcuno meno, qualcuno eterno. Oggi l’anima della Curva Sud s’infiamma per giocatori che vengono spesso da lontano, ma che quando arrivano a Roma trovano una casa con le porte sempre aperte. Oggi argentini, iraniani, olandesi, domani vallo a sapere. Quello che sappiamo però è che è sempre stato così, anche decenni fa, quando altri calciatori per un gesto, una giocata o un goal, diventavano gli idoli del momento. Dal mio cassetto di vecchio tifoso riprendo due di queste storie. Due nomi, due volti, due gesti, magari non eclatanti, ma che allora ci fecero esultare e che oggi covano come brace sotto la cenere.
Voglio parlarvi di Paolo Alberto Faccini e di Lucio Mujesan. Nomi che a qualcuno diranno qualcosa, ma se siete tra quelli a cui dicono poco, allora non fermatevi e continuate a leggere.
Il goal di Faccini
Era il 12 settembre del 1982, siamo al Sant’Elia per Cagliari – Roma. Vinciamo con risultato tondo, 3 a 1 e il primo goal, dopo appena 9 minuti dal fischio d’inizio è di Paolo Alberto Faccini. Un passaggio giallorosso già nella stagione 78/79, poi in prestito alla Nocerina e poi di nuovo giallorosso tra il 1980 e il 1983, Faccini con le sue quattordici presenze e i suoi quattro goal potrebbe essere considerato una meteora, ma divenne assai famoso per quel goal fuori casa al Cagliari, il goal che diede inizio alla lunga cavalcata verso uno scudetto decisamente voluto, cercato e alla fine conquistato. Il Mister Liedholm lo chiamava il piccolo Gigi Riva: detto da lui, dobbiamo crederci. Quel goal, nonostante gli anni passati, è ancora nei ricordi di noi tifosi diversamente giovani. Capita spesso di incontrarlo e, immancabilmente, torna alla mente quell’azione e quel gol. Sono sicuro che lui ancora si emozioni davanti a tanta passione. È vero che chiunque parli di lui ricorda quel gesto, ma c’è anche qualche altra cosa da dire.
Faccini e Rocca
Quello che di Faccini ricordo con il tono di una sorprendente particolarità è legato a un rapporto cementato da grande rispetto, ma anche da qualcuno di quei “vaffa” che spesso diventano il collante di un vero rapporto di amicizia. In questo caso parlo di Faccini e del nostro grande Kavasaki, al secolo Francesco Rocca. Il “vaffa”, in particolare, è legato a un paio di scarpini che Alberto chiese in prestito proprio a Francesco. Tra ragazzi, amici dentro e fuori dal campo, succede di aiutarsi mandandosi amichevolmente a quel paese. Nel calcio di una volta bastava persino un “vaffa” per sentirsi più uniti che mai. Oggi Paolo Alberto Faccini è un uomo con una vita normale, comune a quella di tutti noi, ma se lo incontri e gli fai scappare qualche ricordo, non si sottrae mai alle emozioni e contraccambia con un sorriso.
“Dio perdona, Mujesan no!”
Lo so. Per molti questo nome è il ricordo sbiadito di una foto ingiallita con mezzo secolo di vita. So anche che detto così mezzo secolo fa quasi paura eppure, a maneggiare quella foto, il tempo sembra passato in un solo attimo.
In quel periodo ad allenare la Roma era Helenio Herrera, il mago. Il campionato in questione è quello del 1972/73, la partita in questione è quella contro il Bologna dove Lucio Mujesan, profugo istriano con la tragedia dell’esodo sulle spalle, firma una doppietta. Risultato finale Bologna – Roma 1 a 3. Se il gol di Faccini ha spianato una strada che ha portato la Roma più in alto di tutte le altre squadre, la doppietta di Mujesan non ha provocato gli stessi effetti, quel campionato ha visto la Roma undicesima, su sedici squadre. Due momenti ben diversi, ma con il comun denominatore di osannare il calciatore di quei indimenticabili momenti.
Al ritorno, in treno, la squadra trovò un folto numero di tifosi che, presi dall’euforia del risultato ottenuto, si distinsero per aver letteralmente strapazzato il mito del giorno, Lucio Mujesan sballottolandolo a destra e a manca.
Conta quello che resta
Passano gli anni e con loro i campionati. La Curva Sud è sempre quella e la tifoseria non cambia, sempre piena di entusiasmo per i propri beniamini, oggi Paulo Dybala su tutti, ieri per nomi che a volte è difficile ricordare, ma ai loro tempi, chi per un campionato e chi per un altro, beniamini dell’immenso popolo giallorosso.
Io, personalmente, trovo emozionante raccontare certi episodi anche quando si parla di idoli di breve corso, attori non protagonisti di un film a tinte giallorosse che ci scorre ancora davanti agli occhi e che la Curva Sud non ha mai smesso di guardare.
In questi giorni, con un inverno che ha riportato su Roma freddo e pioggia, questi ricordi sono un viatico per passare del tempo seduti comodamente su una poltrona, con un bicchierino di ottima grappa tra le mani, a rileggere avvenimenti che, anche se a volte minori, sono stampati nella memoria e pronti a ravvivare le stesse emozioni di un tempo, ieri di più in Curva Sud, oggi di più in salotto.
In una memoria che non va in prescrizione, conta però quello che resta. E anche chi.