La FIFA non vuole sentire ragioni. L’India non potrà schierare giocatori a piedi nudi. E così la Francia, dopo il drammatico spareggio perso a Firenze con la Jugoslavia (2-3) nei supplementari, ritrova uno spiraglio per partecipare ai mondiali brasiliani del 1950. Costi astrusi, viaggio che nessuno vuole davvero affrontare, ma soprattutto il timore di ulteriori brutte figure, fanno però maggioranza all’interno della FFF. I transalpini restano a casa. Si chiamano fuori anche scozzesi e turchi, scuse varie, lasciando il mondiale a tredici. Si spiega così il percorso dell’Uruguay che deve giocare solo una partita, una passeggiata di salute, contro la Bolivia per accedere alla fase finale. Il cartellino dell’inglese Reader deve trovare spazio per registrare otto reti, ultima del “chico” Ghiggia al minuto ottantasette. Con lui, la linea offensiva è composta da Miguez, Schiaffino e Perez, rispettivamente tre, due ed una rete. Il quinto delantero si chiama Ernesto Servolo Vidal, suo il 3-0 che mette in ghiaccio la sfida e non siamo ancora al 20′.
Italiano d’Istria
Ernesto Servolo Vidal è istriano di Buie dove nasce il 15 novembre 1921.
Italiano, quindi, e come tanti italiani emigra. Due anni dopo, il passaporto della mamma testimonia l’immigrazione in Argentina.
San Servolo è il patrono di Buie. Una cittadina, la sentinella d’Italia tra i fiumi Quieto e Dragogna attraversata un tempo dalla via Flavia, di 3.200 anime nel censimento proprio di quell’anno, di cui 95% italiane. Acqua, corrente elettrica ed altri servizi primari arrivano solo una decina di anni dopo con il nuovo governo, ma Ernesto è già dall’altra parte del mondo, a far tribolare i suoi con quella palla che fa solo danni.
Attaccante nato
Lui piange, ma non ci pensa a smettere, cerca solo di aggiustare la mira cercando di non spaccare vetri e scarpe, vuole fare l’attaccante.
Il talento viaggia veloce: gli inizi all’Atletico Belgrano, poi al Rosario Central che aiuta a vincere il campionato di seconda divisione, infine il salto definitivo con l’approdo al Penarol di Montevideo, la squadra dell’omonimo quartiere che trae origine dalla nostra Pinerolo.
Con la locomotiva giallonera, Ernesto Servolo Vidal scrive pagine importanti del club: dieci anni, quattro titoli nazionali, la cittadinanza uruguayana. Arriva così la convocazione con la Celeste per il mondiale predestinato, in Brasile e per il Brasile. L’Uruguay, suo vent’anni prima il primo mondiale della storia, si presenta senza pretese, ma si sa non c’è bugia più grossa e quando te li trovi davanti, devi essere pronto a sputare sangue. Gli schemi di Juan Lopez – Montevideo, rione Palermo – sono datati; mediani larghi, terzini accentrati, punto fermo il meraviglioso Varela mediocentro e diga. Non siamo lontanissimi dall’impostazione vincente di Vittorio Pozzo, ma c’è stata una guerra di mezzo e tanto altro.
La formula del torneo è bislacca.
Girone a quattro. L’Uruguay arranca con la Spagna (2-2) e vince di rimonta con gli svedesi (3-2), abbracciata alle prodezze scialuppa di Varela e Miguez. Vidal le gioca tutte, canta e porta la croce come tutti d’altronde in una scacchiera dove il pedone vale il re. La matematica – la vittoria vale due punti – lascia una porta aperta, prima della sfida decisiva con il Brasile, satollo dopo la raffica di reti (7-1 v Svezia, 6-1 v Spagna). Al Maracanà serve un pari per far andare le cose come scritto, per Flavio Costa e un’intera torcida pronta al carnevale in pieno luglio. Varela, “el negro Jefe“, sbatte il pugno contro il muro dello spogliatoio:”Muchachos, los de afuera son de palo. Que comience la función“.
Tutto normale. Forse.
Ernesto Servolo Vidal ascolta, risponde al grido di battaglia, ma sa già che non scenderà in campo. Non è riuscito a recuperare da un pestone contro gli svedesi, la numero undici la prende il diciannovenne Ruben Moran che risponde bene, si sacrifica come si sacrificano gli altri, i due mediani Gambetta ed Andrade, la mezzala Perez, il tornante ante litteram Moran. Il primo tempo a reti bianche lascia intravedere qualche nuvola sul cielo di Rio, ma non c’è tempo di pensarci, il Brasile passa ad inizio ripresa e comincia la festa. Nessuno può immaginare la catastrofe che sarà.
Il Maracanazo
Dal gelo del Maracanazo, Ernesto “el patrullero” esce trionfante insieme ai suoi compagni di un’impresa consegnata al romanzo del calcio per l’eternità. Decidono due fuoriclasse, Juan Alberto “pepe” Schiaffino e Alcides Ghiggia, due tra la moltitudine (quasi il 45%) di uruguagi con almeno un po’ di sangue italiano. E di Italia nel destino.
Ritorno in Italia
Ernesto torna dove non ricorda di essere stato, gioca nella Viola e nella Pro Patria, senza lasciare grosse tracce, ma riuscendo finalmente a capire quando mamma, apparecchiando la tavola, diceva che la bora soffia da nordest a sudovest, ma non è il vento a spazzare via tutto.
Buie vinserà
Oggi il Buie è un club, sorto nel dopoguerra, delle serie minori croate. Biancoverde i colori societari. L’inno, in dialetto veneto, si chiama “La maja verde” e fa così: La maja verde/ ze rivai! e rivai kuei del balon!/ e kol tersin e kol median e kon l’ala destra/ in tel campo del balon ze una grande confusion/ i se bati i se fa mal par giogar questo fudball/ la maglia verde trionfera’ e noi savemo che Buie vinserà.
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