Estate 1988. Il Napoli ha appena concluso il campionato al secondo posto dietro il Milan stellare di Arrigo Sacchi e del trio olandese. Un piazzamento che sa di tragedia giù in riva al Golfo, perché gli azzurri di Ottavio Bianchi, con un Careca in più nel motore, sembravano destinati a bissare il successo dell’anno prima.
Poi, improvvisamente, il crollo verticale, complice anche la sconfitta interna nello scontro diretto che, di fatto, sancì il passaggio di consegne.
“Eravamo spompati”
Diranno così i giocatori ricordando quel periodo. Le malelingue, invece, tirarono fuori storie di camorra e di scommesse clandestine. Quello che era certo e risaputo, tuttavia, era il rapporto non idilliaco tra buona parte dello spogliatoio ed il taciturno ed arcigno tecnico bresciano.
Il presidente Corrado Ferlaino, chiamato a fare una scelta drastica, si schierò dalla parte di Ottavio Bianchi ed epurò quattro senatori dello spogliatoio: Garella, Ferrario, Bagni e Giordano. Uno per reparto, tanto per far intendere a Maradona chi comandava nel club partenopeo.
Arriva Giuliani
Per sostituire il corpulento e sgraziato portiere ex Verona si pensò a Walter Zenga, allora in rotta con la società interista. Un ripensamento dell’ultimo minuto di Pellegrini, il numero uno meneghino, portò invece a Napoli Giuliano Giuliani, che curiosamente aveva già sostituito Garella proprio nella squadra scaligera.
Si racconta che fu proprio Maradona a volerlo in azzurro, perché era l’unico portiere che gli avesse parato ben due rigori, anche se l’anno precedente lo aveva umiliato rifilandogli un gran gol quasi da centrocampo.
Giuliano Giuliani, classe 1958, nato a Roma ma cresciuto ad Arezzo, era un tipo tranquillo, taciturno, malinconico e non amava la vita notturna. Un antidivo, in anni in cui i portieri si distinguevano per personalità stravaganti: pensiamo ad Higuita, a Pfaff, a Mondragòn.
A detta dei supporters napoletani, tuttavia, aveva anche lui qualcosa di eccezionale. Infatti, quando prendeva posto tra i pali all’inizio della partita, qualcuno dalla curva gli gridava: “Giulià, tu ‘na cosa tieni bbona!” E gli altri rispondevano in coro: “’A mugliera!” Infatti, la moglie, Raffaella Del Rosario, era una bellissima donna, conosciuta dal pubblico televisivo per aver fatto da soubrette in un programma di Maurizio Mosca e per aver condotto alcune trasmissioni sportive su reti locali campane.
In Nazionale Giuliani non ci arrivò, perché chiuso da Zenga, Tacconi e Pagliuca.
Poco male, perché con il Napoli di D10s si tolse numerose soddisfazioni vincendo la Coppa Uefa nel 1989 e il secondo Scudetto nel 1990.
Poi, improvvisamente, inspiegabilmente, come accade ogni volta che il destino si diverte alle spalle delle persone perbene, il Napoli acquistò un nuovo portiere, Giovanni Galli, e Giuliani si ritrovò catapultato ad Udine, in serie B dove, curiosamente, era la terza volta che si trovava a sostituire Claudio Garella.
La fortuna cambia strada
Giuliani lasciò il calcio nel 1993, dopo aver festeggiato la permanenza dei friulani in serie A.
Aveva soltanto 35 anni, non molti per un portiere. Ma in giro si era sparsa la voce crudele che fosse malato, si sospettava addirittura l’Aids.
E, in effetti, nel novembre del 1996 fu ricoverato d’urgenza nel reparto Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna, città nella quale si era ritirato a vivere, dove morì poco dopo in seguito a problemi polmonari, complicanze dell’Aids.
Fu il primo, ed unico, calciatore morto per quella terribile malattia, nel silenzio dei media, dei compagni e del sistema calcio in toto.
Accanto al letto di morte, solo la figlia piccolissima e la moglie, anzi la ex-moglie, dato che si erano separati già da qualche anno.
Le parole di Raffaella
È stata proprio Raffaella Del Rosario a lasciare varie dichiarazioni ai giornali per spiegare il dramma di suo marito.
“Era più triste del solito. Mi guardava, ma non parlava. Poi, di botto, senza mai fermarsi mi disse che aveva fatto delle analisi e che il responso era che aveva contratto il virus dell’Hiv e non aveva scampo. Fu una coltellata nel petto. Non riuscivo neppure a parlare. Ma dentro mi chiedevo: perché proprio a me? Ma come è potuto accadere, lui che non si era mai drogato, che era un atleta, che non amava la vita notturna? A voce bassa mi confidò che mi aveva tradita una volta. Una sola volta. Una scappatella, il 7 novembre 1989, al matrimonio di Maradona a Buenos Aires. Io non andai perché avevo appena partorito. […] Per me furono sei mesi di inferno, perché dovetti sottopormi a dei test. C’era da impazzire. Fortunatamente non ero stata contagiata, ma non potevo più stare con un uomo che mi aveva tradita. Così lo lasciai. Ma sono rimasta come unico sostegno di una vita che stava terminando. Anche quando seppi che stava molto male, in ospedale, andai di corsa da lui. Purtroppo non ebbi nemmeno il tempo di capire, di parlare coi medici: quella stessa sera Giuliano morì per una crisi polmonare, dovuta allo stato avanzato della malattia.”
L’epilogo che non dimentichiamo
Un uomo realizzato, che aveva denaro, successo, una bella famiglia, perse tutto per un errore, uno solo. Uno sbaglio umano, forse il più umano di tutti. “Un tuffo dove l’acqua è più blu”, cantava Lucio Battisti.
Sembra un racconto di cattivo gusto, di quelli che si narrano nelle notti d’inverno davanti al fuoco del camino per impressionare i piccoli ed intrattenere i grandi.
E invece è tragicamente vero.
Giuliano Giuliani muore il 14 novembre del 1996.
Sono passati ormai 25 anni e il mondo del calcio, che lo aveva già emarginato all’epoca, sembra averlo completamente dimenticato.
Ma noi, invece, vogliamo ricordarlo.
E che la parabola della sua vita sia un monito