Il presidente del Borgorosso Football Club
Scritta e diretta da Luigi Filippo D’Amico, questa pellicola del 1970 vede l’amato Alberto Sordi nei panni di Benito Fornaciari, un impiegato del Vaticano con l’hobby della filatelia, che improvvisamente eredita dal padre la squadra del Borgorosso F.C., espressione di un paesino romagnolo. Il calcio non è la sua passione, e si vede. Acquista, infatti, una serie di giocatori scarsi e li fa guidare da un allenatore italo-argentino piuttosto incapace, José Buonservizi, soprannominato lo stregone (un riferimento piuttosto esplicito al mago Helenio Herrera) interpretato da Carlo Taranto, con l’unico risultato di portare la compagine in zona retrocessione. Per riconquistare la fiducia degli abitanti del paesello, Benito esonera l’allenatore e assume la guida della squadra come presidente-allenatore, con risultati decisamente migliori.
Tuttavia, durante il match con i rivali del Sangiovese, Fornaciari litiga con l’arbitro scatenando una invasione di campo del pubblico inferocito. Penalizzazione e campo squalificato. È l’inizio di un declino anche finanziario del club. La società verrà messa in mora, ma il presidente tra la folla in visibilio presenta il suo ultimo acquisto, il grande cabezon Omar Sivori, e tutti insieme vanno allo stadio su un carro bestiame.
L’arbitro
Ancora Luigi Filippo D’Amico firma nel 1974 una pellicola ambientata nel mondo pallonaro. Stavolta il protagonista è l’arbitro siculo Carmelo Lo Cascio (chiaramente ispirato al carismatico arbitro Concetto Lo Bello) interpretato da Lando Buzzanca. Il suo sogno è diventare internazionale, e per questo si allena a essere preciso e inflessibile.
Per reggere i ritmi di una vita sentimentale piuttosto movimentata (sia la moglie che l’amante, la giornalista Elena Sperani interpretata da Joan Collins, sono sessualmente molto esigenti), Carmelo comincia ad assumere anfetamine, che a lungo andare gli causeranno una sorta di pazzia, con tanto di ambulanza che se lo porta via durante una partita di Coppa dei Campioni. Da segnalare che al film parteciparono i giornalisti Nicolò Carosio e Bruno Pizzul, nonché un giovanissimo Alvaro Vitali, che incontreremo più tardi.
Il tifoso, l’arbitro e il calciatore
Nel 1982 Pier Francesco Pingitore firma questo divertente film in due episodi, come si usava spesso all’epoca.
Protagonista del primo episodio, L’arbitro e il calciatore, è proprio Alvaro Vitali nei passi dell’arbitro Alvaro Presutti, integerrimo e inflessibile in campo, ma nella vita privata usciere vessato da tutti: capufficio, colleghi, suocera. Di ritorno da una partita, Alvaro riceve a casa un pacco anonimo contenente una videocassetta e una cartolina che dimostrano che sua moglie, interpretata dalla prorompente Carmen Russo, ha avuto una relazione clandestina con il centravanti della Juventus, Walter Grass.
Per vendicarsi, sfrutta i buoni uffici dell’amico Sposito (Enzo Cannavale) presso la Federazione per farsi assegnare la partita Fiorentina-Juventus. Qui prende di mira l’asso tedesco: prima gli annulla quattro gol, e poi lo espelle fingendo di essere stato colpito. Infine, inscena una aggressione nel post partita e nel referto attribuisce la colpa proprio a Walter Grass. Quest’ultimo, allora, si reca furtivamente in ospedale, dove Alvaro è ricoverato per sospetto trauma cranico, per chiedergli spiegazioni. Alle accuse dell’arbitro, risponde confessando di essere omosessuale. Così, dopo aver interrogato la moglie, Presutti scopre la macchinazione dell’amico Sposito per falsare il risultato di Fiorentina-Juventus e vincere una grossa somma al totonero. Nel finale pecoreccio, il povero Sposito avrà la sua meritata punizione.
Il secondo episodio, il tifoso.
Qui tutto si regge invece sulla verve attoriale di Pippo Franco, nelle vesti di Amedeo, un tifoso romanista. Figlio dell’agguerrito titolare del Bar Forza Lupi (interpretato dall’indimenticato Mario Carotenuto), lavora nell’azienda del commendator Pecorazzi (il grande Gigi Reder) tifosissimo della Lazio e padre della sua fidanzata, Patrizia (la bella Daniela Poggi), che è appena rimasta incinta.
Per non farsi scoprire dal suocero, che lo licenzierebbe in tronco per la sua fede giallorossa, e per non dare un dispiacere al padre cardiopatico, il povero Amedeo è costretto a barcamenarsi in mille bugie ed escamotage. E l’esperienza procede spedita, fino al giorno del derby Lazio-Roma, al quale è costretto ad andare sia dal padre che dal suocero. Fingendo problemi intestinali, il tifoso cerca di essere presente sia in curva A che in curva B, cambiandosi la giacca e il cappello double-face mentre corre da una parte all’altra. Ma, ovviamente, per i chilometri percorsi si stanca e finisce per confondersi. Scoperto il suo inganno, viene inseguito e picchiato sia dai laziali che dai romanisti. A salvarlo accorre Patrizia, che lo porta via in moto. La nascita di due gemelli farà felici entrambi i nonni, per un finale che metterà tutti d’accordo.
Paulo Roberto Cotequinho centravanti di sfondamento
In questo film del 1983, Nando Cicero dirige Alvaro Vitali (sì, ancora lui!) nei panni di Paulo Roberto de Corcovado, detto Cotequinho, il centravanti brasiliano del Napoli. Le sue prestazioni in campionato non sono all’altezza delle aspettative: il campione soffre di saudade. La società, allora, decide di far venire dal Brasile la sua fidanzata Lucelia (Carmen Russo) e di ingaggiare un sosia, un po’ idraulico e un po’ detective privato, perché attiri su di sé l’ira dei tifosi, lasciando al giocatore il tempo di riprendersi. Tuttavia, si avvicina il match Inter-Napoli. Una contessa malvagia sulla sedia a rotelle (Franca Valeri) ha scommesso una grossa somma sulla sconfitta del Napoli e allora tenta in tutti i modi di mettere fuori combattimento Cotequinho/Alvaro con l’aiuto del suo fedele servitore, Mandingo. Il calciatore verrà perfino sequestrato dalle “Brigate Pecorine”, ma sarà liberato da uno dei membri della banda, tifoso del Napoli. Intanto il falso Cotequinho scende in campo e segna fortuitamente il gol vittoria contro l’Inter. Alvaro e lo zio Mario, faranno così ritorno a Roma, lasciando Cotequinho nelle sapienti mani di Lucelia.
Diverse sono le curiosità relative a questo film. Innanzitutto, il protagonista avrebbe dovuto essere una caricatura del grande campione della Roma Paulo Roberto Falcão. Tuttavia, il divino centrocampista carioca si tirò fuori dal film, così la produzione pensò a fare di Cotequinho una caricatura di Diego Armando Maradona. È singolare, però, che D10s arrivò a Napoli solo l’estate di un anno dopo. Il nome, oltretutto, fu sbagliato nel titolo delle locandine. Infatti, anziché la grafia portoghese Cotequinho, fu usata quella spagnola Cotechiño, in aperto contrasto con la provenienza del calciatore.
Va infine ricordato che questo sarà l’ultimo ruolo da protagonista per Alvaro Vitali, che scomparirà poco dopo dalle scene, anzi dai set cinematografici.
Oronzo Canà. Allenatore.
A principio degli anni ’80 del secolo scorso, su un volo di linea della tratta Roma-Milano, Lino Banfi incontrò l’allenatore Nils Liedholm.
Tra le altre cose, questi gli chiese se conoscesse Oronzo Pugliese, pittoresco allenatore degli anni ’60 e ’70 e aggiunse: “Dovresti interpretarlo.”
L’attore di Andria ne parlò con il regista Sergio Martino e nel 1984 uscì al cinema una delle pellicole più iconiche e più amate tra quelle ispirate al calcio: la storia del “Vate della Daunia” Oronzo Canà, un allenatore mediocre, superstizioso e pieno di uscite sopra le righe che viene chiamato a dirigere la Longobarda, una neopromossa in serie A. Grazie ai buoni uffici del procuratore/ciarlatano Andrea Bergonzoni e del suo compagno di merende Giginho (interpretati dal duo comico Gigi e Andrea), dopo aver dato inutilmente la caccia ai campioni della seleçao Eder, Junior e Socrates, Oronzo Canà scopre in Brasile il giovane attaccante Aristoteles (Urs Althaus), una perla nera che alza di parecchio il livello della squadra affidatagli dal presidente Borlotti (Camillo Milli). Tra alterne vicende, le cose in campionato cominciano a mettersi bene, e la squadra se la gioca per la salvezza. È a questo punto che Oronzo Canà scopre di essere stato chiamato solo perché è considerato scarso dal presidente, che anela il ritorno in serie B per contenere i costi. Punto nell’orgoglio, nell’ultima di campionato Oronzo Canà fa entrare dalla panchina Aristoteles, e il campione carioca lo ripaga con una doppietta che significa salvezza per la Longobarda, e dannazione per Borlotti, tra l’altro sposato con una fedifraga che se la intende con l’attaccante Speroni.
Oltre che per la presenza massiccia di giornalisti, calciatori e altri esponenti del mondo pallonaro (i giocatori della Roma Ancelotti, Pruzzo, Chierico, Graziani, e poi Picchio De Sisti, Nando Martellini, Gian Piero Galeazzi, Aldo Biscardi e lo stesso Nils Liedholm), il film si segnala per l’iconico personaggio inventato da Banfi. Oronzo Canà è, come detto, fortemente ispirato a Oronzo Pugliese, allenatore tra le altre di Roma, Fiorentina e Bologna in serie A, detto “il mago di Turi”, che negli anni ’60 fu la risposta italica, anzi schiettamente meridionale, alla figura dell’allenatore divo, rappresentata dal mago argentino Helenio Herrera. Ora sappiamo che, attraverso Oronzo Canà, abbiamo sempre, inconsciamente amato un po’ anche Oronzo Pugliese!