Guardo l’altimetro, che noi paracadutisti solitamente portiamo a sinistra, mentre l’aereo scala gli ultimi metri con la turbina costantemente a spingere potenza sull’elica a passo variabile per portarci alla quota di lancio.
Un’ascesa di 20, 30 minuti, a seconda dell’aeromobile utilizzato, dove paracadustisti esperti e appassionati del volo magari al primo lancio si ritrovano stretti gli uni agli altri in una carlinga sempre troppo piccola per ospitare tutti, ma è un sacrificio ripagato da sorrisi, battutacce e inconfessabili lotte interiori.
Un minuto prima
Il pilota effettua l’allineamento alla zona di lancio e alzando l’indice della mano destra segnala al passeggero accanto a lui che manca un minuto al lancio, un segnale che viene rimbalzato a tutti gli altri paracadutisti.
Siamo tutti tesi come molle, con i nostri pensieri silenziosi e a ripeterci nella mente gli esercizi che andremo ad eseguire nel breve minuto della caduta libera.
I controlli
Come gli altri paracadutisti in un breve istante eseguo gli ultimi controlli di rito al paracadute che porto sulle spalle.
La mano destra corre alla Hand Deploy, una pallina o un sacchetto morbido che sta alla cima del pilotino, per verificare che sia tutto ben ripiegato e immagazzinato nella piccola custodia elastica sotto lo zaino.
Il pilotino, che è simile ad un piccolo paracadute, è assicurato al pin tramite il bridle, un nastro nero di un paio di metri, opportunamente ripiegato, che al momento dell’estrazione entra nel flusso, creando una sorta di ancora nell’aria che libera il particolare spinotto in acciaio a forma di smile, che molti di noi esibiscono appeso al collo e, chiude mediante il loop le quattro patte della sacca dorsale ed estrae a seguire la borsa contenente la vela principale permettendone l’apertura.
Verifico la pattina che protegge il pin, che è chiusa. Un’apertura accidentale della sacca e la fuoriuscita della vela in aereo, qualche istante prima del lancio, ha provocato in passato gravi incidenti, ma dall’esperienza negativa, nascono correttivi importanti.
Un rapido controllo agli anelli metallici posti sulle spalle, che consentono, in caso di emergenza, di sganciare la vela principale, prima di passare all’apertura della vela di emergenza.
Simulare l’emergenza
Un ultima simulazione di ripasso alla procedura di emergenza per malfunzionamento del paracadute principale.
1001, guardo e impugno la maniglia morbida sulla bretella anteriore destra.
1002, guardo e impugno la maniglia a sinistra.
1003 svelcro e tiro la maniglia di destra, che porterà a sganciare la vela principale.
1004 guardo la maniglia a sinistra e rafforzo l’impugnatura con la mano destra, a conferma che ho sganciato la vela principale.
1005 con le 2 mani tiro la maniglia dell’emergenza e attendo che in pochi istanti si apra l’ausiliario.
È una delle prime cose che insegnano ai paracadutisti: cadenzare la procedura, rafforza l’automatismo e assicura che non avvengano sovrapposizioni nell’esecuzione. Tirare l’emergenza (1004) prima di aver tirato la maniglia di destra (1003) potrebbe portare all’apertura della seconda e vitale vela, dentro la vela principale, che non è stata correttamente sganciata e le conseguenze potrebbero essere devastanti.
Simuliamo spesso questa procedura a terra e in aereo. Dall’automatismo perfettamente rodato dipenderà la buona riuscita di un’apertura di emergenza. In caso dovesse accadere sarà come frenare la macchina per evitare un ostacolo improvviso o scartare un inciampo, non ci pensi, ma il tuo cervello e i tuoi muscoli agiscono e cadendo nel vuoto a oltre 200 km all’ora, la procedura deve essere perfetta o ne va la tua incolumità.
L’aereo smette di salire e assume l’assetto orizzontale, mentre l’urlo della turbina si attenua
Accendiamo le telecamere montate sul casco, chiudiamo la visiera del casco integrale o aggiustiamo gli occhialoni, se si indossa un casco aperto. Tutti i paracadutisti indossano un casco perché quando si vola in gruppo ed eseguendo figure o acrobazie, che si voli piatti, a testa in su o giù, il rischio di subire urti violenti alla testa che potrebbero far perdere coscienza è sempre presente ed una buona protezione e la capsula barometrica sono degli ottimi scudieri.
La perdita di coscienza
In caso di perdita di coscienza e conseguente incapacità di procedere all’apertura alla quota stabilita, in tutti i paracadute viene installata una capsula vari-barometrica, che si attiva al decollo dopo i 400 mt di quota e successivamente durante la caduta libera mantiene sotto controllo i paramenti di altezza e velocità; se un paracadutista continua a cadere ad una velocità elevata, al raggiungimento di una quota minima di sicurezza (segno di mancata o imperfetta apertura del paracadute), una micro capsula esplosiva attiva un cutter che taglia il loop e consente l’apertura automatica della vela secondaria.
Porta!
Il pilota urla e allora la porta scorre aprendo lo sguardo al cielo ed ai 13.000 piedi di vuoto sotto l’aereo e poi è ancora a ordinare Exit! È in quel momento che i paracadutisti, soli o in gruppo si posizionano sulla porta ed iniziano a lanciarsi, cadenzando di 10, 15 secondi la loro uscita per non ritrovarsi a fine lancio dentro la vela di chi è saltato prima.
Il paracadutismo è uno sport, che, rispettando le regole è sicurissimo e produce un numero di incidenti di gran lunga inferiore allo sci, o all’automobile.
Voliamo, con il vento che fischia dentro il casco
Cadiamo eseguendo tra noi prese, giri, capriole, vere e proprie danze, in quello che si avvicina all’assenza di peso.
Ci libriamo nell’aria come uccelli ed è quello che sembra guardando poi i nostri filmanti, ma in effetti cadiamo come proiettili umani, verso la terra, i cui particolari si fanno sempre più distinti.
1550 mt, il primo allarme del ditter squilla all’interno del casco; una rapida occhiata all’altimetro al polso conferma che la quota di fine lavoro è stata raggiunta e si inizia la deriva per allontanarci e andare ad aprire in sicurezza.
Nessuno di noi vuole infilarsi nella vela di un altro paracadutista
Il ditter squilla nuovamente nel mio casco, 1200 mt, sono ormai alla quota di apertura. Assumo posizione di box, dove il mio corpo pare una X, per rallentare un po’ e stabilizzare la caduta.
Uno sguardo attorno per vedere se ho qualcuno vicino, mentre il ditter urla il suo “panico” perché sto superando la quota di 1000 mt, porto le mani al casco in una sorta di saluto, per segnalare la mia intenzione di aprire, mantengo la mano sinistra sopra la testa e porto la destra dietro la sacca al pilotino per estrarlo e lanciarlo nel flusso.
La discesa
Resto li a godermi la discesa che rallenta, il mio corpo che all’improvviso viene frenato e la vela che si dispiega con una sorta di rombo rassicurante, gonfiandosi e iniziando a sostenere la mia discesa verso il suolo.
A leggere queste righe, pare che sia una procedura infinita, ma il passaggio dai 1500 mt all’apertura della vela, avviene in una manciata di secondi, dove il mix di adrenalina ed endorfina, che la mente ha immagazzinato raggiunge la sua piena potenza ed esplode in un mix di sensazioni meravigliose.
Un rapido controllo verso l’alto per assicurarmi che la vela sia correttamente dispiegata. Faccio trazione sulle bretelle posteriori per un rapido giro d’orizzonte, collasso lo slider, il piccolo rettangolo di tela, che scendendo dall’alto lungo le funi, rallenta l’apertura della vela e lo porto dietro la testa.
Libero i comandi che, immagazzinati a mezzo freno, hanno impedito al paracadute di balzare in avanti in tutta la sua velocità e comincio a godermi la discesa verso terra a ormai soli 700 mt sotto di me.
L’odore della paura
È in quel breve lasso di tempo in cui la vela sfarfalla sopra la mia testa che tutte le emozioni, le paure, le gioie, defluiscono dalla mente e salgono proprio verso di lei che, come se fosse una grande spugna colorata, le assorbe tutte.
È così che quando atterri e inizi a raccoglierla per tornare in hangar, ti accorgi che la vela ha un suo odore.
Un sentore tutto suo, intimo, personale, un afrore che sa di cielo e di terra, di ansie e inquietudini, che mai saranno sopite, ma che questo incredibile sport ti insegna a dominare, perché quando ti affacci nel vuoto nessuno ti obbliga a saltare, ma sei tu che balzi in groppa al destriero delle tue paure, lo imbrigli e lo inciti a volare nel vuoto.
Noi paracadutisti sappiamo bene che è così.
Stendo la mia vela a terra e inizio a ripiegarla, accarezzandola con lo sguardo e lisciandola con le mani, l’abbraccio e l’annuso ancora una volta, per inebriarmi dell’odore della mia paura, per poi farla piccola ed infilarla nella “pod”, con l’attenzione, l’affetto e la passione, che si può avere per una grande amica, alla quale a breve affiderò nuovamente la mia vita.