Un racconto sul calcio di Luciano Bianciardi merita sempre di essere letto. Si intitola Il ritiro ed è contenuto nella raccolta La solita zuppa e altre storie pubblicato nel 2003 dalla Bompiani. In realtà però uscì la prima volta nell’aprile del 1969 su Kent, una di quelle riviste erotiche che ebbero un certo successo negli anni Sessanta sfidando le ire della Chiesa e della buoncostume e che ogni tanto qualche magistrato zelante faceva sequestrare.
Uomini e letteratura
Kent, fondata nel 1967 dall’editore Sergio Garassini che qualche anno più tardi darà vita anche a Cronaca Vera, presentava donnine mezze nude e un po’ di cultura. Il sottotitolo della testata parlava chiaro: Mensile per gli uomini. Tra i collaboratori, oltre a Bianciardi, anche Gian Carlo Fusco, Mario Soldati e Gianni Brera.
La collaborazione di Bianciardi a Kent, ma anche a Playmen e a Le Ore va interpretata da un lato come una sincera presa di posizione a favore delle battaglie civili per la libertà sessuale e contro la censura e dall’altro come una prova di quella sua naturale vocazione per la dissipazione del proprio talento che lo porterà dritto dritto sulla via dell’autodistruzione.
Il ritiro
Per tornare a Il ritiro, c’è il calcio giocato con il protagonista-narratore, un fior di mediano con quasi duecento presenze in serie A e sedici in nazionale. C’è il solito codazzo di supertifosi più o meno eccellenti, quelli sempre presenti in tribuna centrale e nelle occasioni mondane, C’è la bonazza di turno che prende per mano il nostro eroe un po’ bamboccione e lo introduce alle gioie della carne. Ma in agguato ci sono anche i Mister, spalleggiati da certi medici che la sanno lunga, con le loro teorie sulla concentrazione della squadra che va difesa contro tutti e contro tutto.
Si può fare o non si può fare?
In particolare, la squadra deve essere difesa contro il sesso, il nemico mortale che porta a disperdere le preziose energie psico-fisiche dei “ragazzi”.
Solo il ritiro può preservare i nostri campioni dalle tentazioni.
A quanto pare quella cosa lì prima della partita non la si può fare perché rischia di minare il rendimento in campo, dopo la partita non la si può fare perché c’è da smaltire lo stress della gara e durante la partita non ne parliamo neanche. Insomma, una vitaccia. Così il nostro mediano se ne sta chiuso in un una stanza d’albergo dal venerdì a tutto il lunedì e passa le notti con gli occhi sbarrati a pensare alla sua biondona.
Il bello è che poi se alla domenica non corri e non tocchi palla i giornalisti cominciano a parlare di “dolce vita”. Che ci provassero loro.