Chi ha fatto il servizio militare, chi ha atteso la famosa cartolina, chi ha temuto l’iniezione sul petto che qualcuno ha fatto pure svenire, lo sa bene. Racconti di chi l’aveva già fatto, storie di guardie, marce e polveriere, leggende e dicerie, naja e tanta noia, permessi e fughe, qualcosa vero, qualcosa inventato. Certo è che quando facevi il militare non capitava tutti i giorni di passare un paio di settimane con un mito.
Io sono stato fortunato, a me è capitato e il mito, il mio e di tutti quelli della mia generazione, il mito che ho avuto la straordinaria e irripetibile fortuna di avere a portata di mano ha un nome e cognome che a dirlo adesso ancora rimbomba e sganascia: Nino Benvenuti!
Partiamo dall’inizio
Pompiere. Un privilegiato. Così eravamo considerati tutti noi che il militare lo facevamo nei Vigili del Fuoco. Vero, non vero? Per la nostra storia poco importa. Certo, io ero alle Scuole Centrali Antincendio di Capannelle sulla via Appia, se vogliamo a pochi passi e non a 600 chilometri da casa e quindi sì, in qualche modo, ero un privilegiato.
In che anno accade tutto questo? Beh, lasciamo stare che a contarli fa fatica. Diciamo anni “anta”, come quelli che mi porto addosso.
Nino
Nino Benvenuti tornò a Capannelle per un paio di motivi. Il primo burocratico; Allievo del 27° corso AVVA e poi destinato a Trieste, per i noti impegni sportivi tra i quali l’oro guadagnato alle olimpiadi di Roma e le cinture mondiali, non aveva formalmente terminato la naja. A noi disse che era tornato per “prendere il congedo”.
Ma Nino disse anche altro, o meglio fece anche altro. In quei giorni girava per Capannelle anche Giuliano Gemma e i due si allenavano insieme. Il caso li aveva fatti incontrare proprio al 27° corso e poi erano rimasti amici. Ora avrebbero dovuto girare un film insieme, un rocambolesco spaghetti-western di Duccio Tessari, Vivi o preferibilmente morti; rinfrescare salti e capriole “da pompiere” gli sarebbe stati utile.
Dovete poi considerare che in quel periodo i pugili erano più famosi dei calciatori di oggi e Nino Benvenuti era il più famoso di tutti. Basta ricordare l’Italia che aveva fatto nottata per seguire i suoi leggendari incontri contro Emile Griffith, esplosa in gioia vera quando la “tele-voce” di Franco Rosi, rotta dalla commozione, alle quattro di mattina annunciò che Nino era Campione del Mondo.
Uno di noi
In quei suoi ultimi giorni a Capannelle, Nino Benvenuti era però ancora e solamente uno di noi.
Non ci mise molto a dare confidenza e scherzare con i Vigili del Fuoco che, come aveva fatto lui, si addestravano con “salti e capriole”.
Qualcuno, sempre scherzando, volle provare a simulare un round, ma Benvenuti andò oltre: scommise una cena che nessuno sarebbe riuscito a dargli un pugno sul viso e, sebbene avesse le mani dietro la schiena, riuscì a schivare solo con il movimento del tronco tutti i tentativi di colpirlo da parte di quasi tutto il Battaglione.
Goliardia di cortili e camerate, ma l’affetto di Nino Benvenuti nei confronti dei Vigili del Fuoco è rimasto immutato nel tempo.
Cagnotto e gli altri
Ma Nino Benvenuti non fu il solo dei famosi che ho incontrato con la divisa da pompiere. Anche Giorgio Cagnotto, futuro campione di tuffi, fu dei nostri. Ricordo come fosse ieri l’istruttore urlare ai quattro venti nel colorito linguaggio in uso al tempo “…manica di senza palle… guardate questo nuovo come salta!!”.
Qualcuno poi trovò sommessamente modo di fargli presente chi fosse quello che saltava così bene e lui, senza scomporsi più di tanto, commentò serafico “…me sembrava ‘na faccia conosciuta!”.
E poi Franco Menichelli, il ginnasta popolarissimo per le sue cinque medaglie olimpiche. Fu proprio lui che mi fece fare a calci nel sedere tutto il piazzale della Scuola Antincendi di Capannelle perché non mi entrava in testa “un movimento ginnico”.
Casa Menichelli
Nota curiosa: dovete sapere che Franco Menichelli aveva un fratello, Giampaolo, calciatore di Roma e Juventus. Un certo giorno di svariati anni dopo andai, per il mio lavoro, a casa dei genitori dei due campioni per l’allaccio di nuova linea telefonica.
C’era anche il ginnasta e con lui ricordai l’episodio dei calci sul sedere che, evidentemente, “m’avevano fatto bene” disse.
Anche il papà si fermò a chiacchierare con me e dopo un po’ mi portò verso uno stanzino che mi aprì davanti. Dentro una sfilza di targhe, coppe e medaglie. Mi guardò e disse “Vede, tutto questo è del ginnasta”. Poi si voltò e con un ampio gesto circolare del braccio che voleva comprendere pareti, mobili e quadri, disse ancora “Tutto il resto, invece è del calciatore”.