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Pelé. Quel giorno all’Olimpico

Io c'ero quel giorno all'Olimpico. Erano i primi anni sessanta, se poi fosse Roma-Santos del '60, del '61 o del '63, lasciatemi il dubbio della memoria. Però io c'ero e Pelé l'ho visto veramente giocare. L'ho visto e lui sì che me lo ricordo come fosse ieri.
Pelé

Da quando capisco di calcio sono inseguito dall’eterno dilemma: chi è stato il più Grande? Maradona, Cruyff, Di Stefano solo per dire i primi che vengono in mente? Potremmo scriverne o discuterne per ore, ma a questa domanda ne aggiungo un’altra: avete mai visto giocare Pelé dal vivo? Ecco, la domanda definitiva è proprio questa.

Roma-Santos di “qualche anno fa”

Primi anni sessanta, Olimpico strapieno. In Italia impazzava la marcatura a uomo e a marcare Pelé c’era un onesto lavoratore della palla (senza fare nomi) che si incollava a O Rei in ogni zona del campo ostacolandolo in ogni modo, più o meno legale. Ad un certo punto arriva a Pelé una palla alta, lui la stoppa e parte in contropiede con il famoso e onesto marcatore attaccato. Tutto normale? No, per niente.  O Rei fa una decina di metri, si ferma e al suo marcatore gli indica che il pallone era rimasto là, fermo proprio dove l’aveva stoppato. Non se n’era accorto nessuno, né in campo e né fuori perché anche noi lo marcavamo a uomo. Pelé aveva fatto una finta che sembrò naturale a più o meno ottantamila persone. Dopo gli ohohohoh di meraviglia scatta un applauso che sembrava non voler finire mai. Al famoso marcatore non rimase che avviarsi verso la panchina, ma a consolarlo per farlo tornare in campo fu proprio lui, Pelé.

Pelé e Lojacono
(21 Giugno 1961. Pelé con Francisco Ramon Lojacono)

Pelé era avanti

Era un calcio prevalentemente tecnico quello del tempo, ma lui anticipò situazioni di gioco che i tecnici di tutto il mondo avrebbero invano tentato di imitare dopo anni. In televisione lo abbiamo visto rimanere in alto come un angelo mentre Burnich, non uno qualsiasi, diventava umano e rimaneva con i piedi a terra. Pelé era un genio. Sapeva, senza saperlo, come, quando dove e perché dare la palla, o tirare, o dribblare. Ogni suo movimento, anzi ogni suo accenno di movimento, era funzionale a disorientare interi gruppi di avversari, e sapeva con quale tic o battito di ciglia avrebbe mandato in confusione il marcatore diretto. Lui oltre il visibile, oltre il tempo, oltre il futuro. Patrimonio Nazionale, Ambasciatore UNICEF, mai un comportamento fuori le righe, nemmeno quando nel Mondiale inglese Nobby Styles lo picchiò per tutta la gara sotto gli occhi complici dell’arbitro. 

Pelé
(Le giornate romane di Pelé)

Torno da dove sono partito

Avete mai visto giocare Pelé dal vivo? Io un paio di volte, ma sono bastate per farmi innamorare ancora di più dello sport più bello del mondo. Lui giocava come se ogni occasione fosse la più importante, ma aveva sempre presente che per quanto bravo potesse essere, da solo non avrebbe mai potuto vincere. Sapeva che solo con la forza del gruppo quando uno “non ce la fa più”, si può voltare indietro consapevole di trovare il compagno che lo assiste e lo sostiene perché in fondo, tra parentesi, proprio questa dovrebbe essere il significato vero della vita e della civiltà.

Nello Panzini nasce a Roma l'8 agosto del 1947, oggi pensionato Telecom con "buona memoria", si diverte a raccontare lo sport di una volta ed il contesto storico nel quale si praticava. Tuttora tesserato con il Real Tuscolano nel quale, vista l'età, fa quello che può.

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