Negli anni ’70 c’era veramente spazio un po’ per tutto.
Il decennio si annuncia con lo scioglimento dei Beatles, il mondo sembra crollare, ma si riprenderà presto.
Il rock diventerà linguaggio universale, i figli dei fiori inaugureranno la lunga stagione del peace and love, Andy Wahrol insedierà la sua Factory sulla Broadway a Union Square, i Pink Floyd pubblicheranno il loro capolavoro The dark side of the moon e le contestazioni giovanili segneranno l’esordio dei giovani come categoria politica a sé stante.
Anni iconici , creativi, anticonformisti per definizione e vocazione, con una contaminazione culturale che arriva ovunque, anche nei sogni di che si mette in testa non solo di stendere un filo tra le tra le Torri gemelle, ma anche di passeggiarci sopra.
Lui non è un ragazzo qualunque, lui è Philippe Petit, il Maestro delle funi e questa è la sua storia.
Facciamo un passo indietro
Nel 1949, in Francia, nasce Philippe Petit. Di famiglia borghese, rosso di capelli, Philippe è diverso dagli altri bambini: se i suoi coetanei trascorrono il tempo rincorrendo un pallone, lui sogna di essere leggero, forse persino più dell’aria.
Ha solo 6 anni quando vede uno spettacolo di funamboli: è amore a prima vista, ne rimane letteralmente folgorato.
Da quel giorno nel giardino di casa lo si vedrà sempre preso a posizionare la sua corda tra due alberi e muovere i primi e incerti passi sospeso a pochi metri da terra.
Come tutti gli autodidatti mette anima e corpo nel suo allenamento, impara presto a fare il giocoliere e ad andare sul monociclo, ma la sua passione lo allontana dagli impegni scolastici. Per uno che vuole camminare nel cielo, la scuola deve essere terribilmente noiosa. Sarà cacciato da numerosi istituti, ma non basta; i genitori, esasperati dall’atteggiamento così ribelle del figlio, lo cacciano di casa.
Rimasto con solo le sue clavette, il monociclo e le funi da funambolo, Philippe decide di andare a Parigi, convinto di poter ricominciare lì una nuova vita, ma soprattutto di farla come vuole lui.
Nella capitale francese inizia ad esibirsi come artista di strada
Non era difficile trovarlo nelle piazze della città, sospeso sul suo cavo mentre faceva roteare in aria palline o torce infuocate, interpretando il personaggio che si era cucito addosso: un uomo solo vestito di nero che non parla mai durante le esibizioni.
Essenziale per Philippe sarà l’incontro con Rudy Omankowsky, o papa Rudy come lo chiamano tutti, proprietario di un circo, che diventerà il suo maestro e ne migliorerà le doti da funambolo.
Sarà papa Rudy a trovargli il primo ingaggio, la partecipazione a una fiera di un minuscolo villaggio francese dove deve esibirisi in una performace semplice, attraversare uno stagno sospeso sul suo filo.
Complice l’emozione Philippe perde l’equilibrio e cade in acqua; per gli spettatori che ridono, lo spettacolo è quello.
26 giugno 1971. Notre Dame
La delusione è immensa, ma Philippe Petit trova il modo per rilanciare e organizza la prima delle sue performance spettacolari e sicuramente illegali.
È la notte del 26 Giugno 1971 quando insieme ai suoi complici s’intrufola in una delle due torri di Notre Dame e iniziano a sistemare l’attrezzatura. All’alba i parigini che alzano lo sguardo al cielo non credono ai loro occhi. Sopra di loro un figurino nero attraversa lo spazio tra le due torri sospeso sul suo filo, si inginocchia a metà del percorso per ringraziare la città e conclude il suo spettacolo accolto non solo da spettatori in estasi, ma anche dalla polizia.
Talmente è straordinaria l’impresa che non sarà incarcerato.
Senza troppi inconvenienti Philippe Petit “sopravvive” a Parigi andando avanti alla giornata fino a quando, seduto in un caffè legge e rilegge una notizia che molti avranno letto distrattamente, ma non lui.
Insomma quando legge che a New York stanno ultimando la costruzione di due torri identiche che svetteranno nello skyline della città e che avrebbero ospitato ristoranti, uffici e banche,lui non si ferma a pensare che si trattava di un’opera unica al mondo e che avrebbe superato in altezza anche la torre Eiffel.
Il suo pensiero va oltre
Le Torri gemelle, anche nella tragedia dell’11 settembre, sarebbero diventate uno dei simboli della grande mela, ma Philippe ci vede subito altro; lui ci vede una scenografia perfetta per quella che sarebbe stata la passeggiata più incredibile della sua vita.
Un’impresa del genere non si può improvvisare e deve essere preparata minuziosamente. Essenziale, in questo, sarà l’incontro con Rudy Omankowsky, o papa Rudy come lo chiamano tutti, proprietario di un circo, che diventerà il suo maestro per migliorarne le doti da funambolo.
Sarà papa Rudy a trovargli il primo ingaggio, la partecipazione auna fiera di paese in un minuscolo villaggio francese dove esibirisi in una performace semplice, attraversare uno stagno sospeso sul suo filo.
Complice l’emozione Philippe perde l’equilibrio e cade in acqua; per gli spettatori che ridono, lo spettacolo è quello.
1973. Inizia la grande sfida
Sono gli ultimi mesi del 1973 e Philippe Petit ha iniziato a organizzare l’impresa della sua vita.
Come per Notre Dame, aveva bisogno di studiare ogni minimo particolare perché sbagliare un passaggio, o un passo, sarebbe stato letale.
Arrivato a New York va subito al World Trade Center e rimane senza parole; le Torri gemelle sono imponenti, maestose, dominano la citta, svettano nel panorama e lui, lì davanti, è piccolo. Piccolo, ma con un grande sogno.
Come prima cosa viene deciso il giorno in cui avrebbero steso la fune tra le torri: il 7 Agosto dell’annio seguente.
Da quel momento ogni giorno Philippe Petit e i suoi compagni si recano al cantiere delle Torri, spacciandosi ogni volta per qualcuno di diverso; architetti, avvocati e persino operai.
Il piano deve essere perfetto, la preparazione è minuziosa e Philippe Petit la racconta nel libro autobiografico Toccare le nuvole del 2002, dove si possono toccare con mano anche le emozioni e le sue impressioni in quei giorni di studio, di attesa e di piccoli sotterfugi, come quando, grazie anche all’aiuto di un suo amico infiltrato, riuscì ad avere il permesso per raggiungere la terrazza all’ultimo piano.
7 agosto 1974. A spasso nel cielo
Il giorno attesa finalmente arriva.
Alle 7:15 del mattino, non senza paura, Philippe Petit muove i primi passi sul suo cavo accompagnato solo dall’asta che lo mantiene in equilibrio.
Attraversa il cielo partendo dalla Torre sud e per quanrantacinque minuti, un tempo immenso, fa avanti e indietro con la Torre nord. Attraversa il cielo otto volte fcoprendo circa 800 metri a 412 metri dal suolo.
Là sopra Philippe Petit è solo, ma meno di quanto si pensi perché la sensazione che lo pervade non è la paura che stringe lo stomaco, ma la sensazione di pace e di bellezza, quelle che ti riempiono l’anima e che ti fanno stare bene ovunque tu sia. Anche mentre cammini su una fune a 412 metri da terra.
Come per la passeggiata parigina, c’era la polizia ad aspettarlo una volta sceso.
Philippe Petit andò a processo ed ebbe una condanna “esemplare”: tenere uno spettacolo gratuito per i bambini di Central Park il giorno seguente, questa volta a pochi metri da terra. Forse aveva ragione il poeta maledetto Robert Brasillach a scrivere che amore e coraggio non sono soggetti a processo.
Philippe Petit insegna che nonostante non si abbia avuto il sostegno da parte di nessuno, l’importante è porsi sempre un obiettivo da raggiungere e lui, con la sua incredibile storia, per molti è ancora oggi ispirazione per tanti a non lasciarsi ostacolare nel cammino.
Considerando quello che ha fatto, lo si può prendere sulla parola.
2015. The walk
La storia di Philippe Petit è diventato un documentario nel 2008, Man on wire, ispirato dal libro scritto da lui, ma è nel 2015 che arriva al grande pubblico con The walk, per la regia di Robert Zemeckis e con Joseph Gordon -Levitt nei panni di Philippe.
L’attore e il funambolo collaborarono nella preparazione del film, Philippe gli fece da maestro scommettendo di potergli insegnare a camminare sul filo in soli 8 giorni e così fece: iniziò prima a farlo camminare su una linea disegnata per terra per poi passare a funi reali e sospese.
Nel film Petit/Gordon – Levitt utilizza il termine coup (il colpo) per fare riferimento alla sua performance sulle Torri gemelle, questo perché grazie alla sua carriera di performer non autorizzato Philippe Petit era tenuto d’occhio quasi come fosse un criminale e per circa 500 volte si ritrovò arrestato.
Come ogni colpo che si rispetti, quindi, ogni piano per camminare nel cielo doveva essere mantenuto assolutamente segreto.
Tanto la libertà era la sopra, mica sotto.