La Bettini e il Campo Patti.
Negli anni 70’/80′ nel popolare quartiere di Cinecittà la scuola calcio più famosa era la Bettini – prendeva il nome dal noto pastificio dell’epoca – da cui uscirono un certo Francesco Graziani, che diventerà poi Ciccio, Francesco Rocca, Franco Superchi, Alessandro Nesta e tanti altri nomi famosi.
Si entrava da una piccola porticina arrugginita all’angolo di Piazza di Cinecittà, proprio dove ora sorge il centro commerciale.
Il Presidente della Società era Lillo Imbergamo, storica figura, e pure fondatore.
Tutti i bambini dell’epoca, me compreso, sognavano di iscriversi alla scuola calcio, sognavano la borsa nera, la maglietta bianca e i pantaloncini neri, ma sognavamo soprattutto di partecipare al torneo di fine stagione, quello con le squadre delle nazionali europee, formate da ragazzini.
I miei genitori non potevano permettersi di pagare la retta, cosi passavo lunghi pomeriggi dopo la scuola a guardare gli altri bambini che giocavano.
Ricordo che un sabato pomeriggio ero al seguito di mio padre che giocava al campo Sebastiano Patti in uno dei tanti tornei dei bar, La Coppa d’Oro. Nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo entravo sul terreno di gioco, confesso che avevo qualche timore ma nessuno mi rimproverava, e così mi divertivo a calciare in porta e poi, diciamola tutta, era anche piacevole sentire i commenti di approvazione dei più grandi.
Il Sor Michele e la Pro Tevere Roma
Uscito dal campo mi si avvicinò un signorotto anziano, basso e calvo, da tutti conosciuto come Sor Michele, che mi chiese di poterci vedere per un provino alla Pro Tevere Roma. Il martedì seguente mi presentai al campo, proprio il campo Patti.
Il Sor Michele era una figura all’apparenza burbera, ma che sapeva di calcio, ma soprattutto di giovani calciatori, sapeva come levarti dalla strada, girava ogni angolo della Tuscolana, del Quadraro, Don Bosco e Appio con la sua inconfondibile 127 azzurra targata k9… alla ricerca di giovani talenti impegnati nelle loro partite in strada, al Parco dell’Acquedotto; ci controllava per davvero, se tu volevi fare una partita con gli amici al parco dell’acquedotto, lui era lì che ti vedeva e la volta successiva agli allenamenti erano dolori. Al provino ti faceva subito calciare in porta e ti faceva fare il “muro” e da lì vedeva se eri idoneo per fare il giocatore.
Tornai il giorno stesso a casa, avevo con me la borsa, la mia borsa nera con sopra scritto Pro Tevere Roma una maglietta azzurra con bordi bianchi un pantaloncino ma, soprattutto, un paio di scarpe da calcio simili alla pantofola d’oro. Non stavo nella pelle, e tutto senza pagare una lira. Sì, perché a differenza delle altre Società, la Pro Tevere Roma, cioè il Sor Michele, selezionava solo ragazzini che erano già capaci di giocare o che sicuramente sarebbero diventati capaci, cioè che non avevano bisogno di una preparazione da scuola calcio che all’epoca si chiamava N.A.G.C. (Nucleo Addestramento Giovani Calciatori).
Mi sentivo un Dio, avrei giocato nella Società che a fine anno trasferiva i ragazzi più bravi alla Lazio.
Era il primo anno, era il 1979, andavo a scuola di pomeriggio così il Sor Michele il mercoledì e il venerdì mattina apriva il Patti per un po’ di ragazzini del 67′ e per il sottoscritto del 1969. Non c’era l’acqua calda, perché tanto bastava una lavata alle palle come diceva lui. Quell’anno fui convocato una sola volta con i grandi in un’afosa giornata di maggio contro il Tor Sapienza, vincemmo 1-0 e feci gol dopo pochi minuti da fuori area, il mercoledì successivo mi aspettavo un’accoglienza trionfale da parte del Sor Michele macché, niente, solo indifferenza.
In campo!
L’anno successivo, era il 1980, frequentavo la quinta elementare, era il primo anno di pulcini, si giocava a 11 anni, non come adesso che per riempire i campi e le casse delle Società fanno giocare a 5 e a 6 anni e si giustificano con il calcio è cambiato.
Il Mister era Gianni Randolfi con il signor Pizzoni dirigente, vincemmo tutte le partite, alcune con goleade straordinarie, tranne una, quella contro il Tor Prenestina Lazio, che sancì la mia uscita dal ruolo di libero, fui spostato infatti sulla fascia destra a fare il terzino, oggi sarebbe il laterale destro perché suona meglio agli istruttori.
A giugno l’epilogo, finalissima a tre squadre allo Stadio degli Eucalipti su un campo d’erba, noi, il Vis Aurelia e l’Adriatica.
La prima partita con il Vis Aurelia pareggiammo 1-1 e per la prima volta ci trovammo in difficoltà, eravamo sotto di un goal, la seconda battemmo l’Adriatica 1-0 a dieci minuti dalla fine, Angelo Gagliardi con un missile da fuori area ci fece vincere il titolo di campioni romani pulcini.
Il Sor Michele quel giorno non era presente, non venne a vederci sicuramente per scaramanzia, e così decidemmo di andare a casa sua in Piazza Quinto Curzio, io, Chicco Vetriani e Angelo Gagliardi a dargli la buona notizia.
L’anno dopo completò la rosa un giocatore che avrebbe fatto parlare di sé in tutto il mondo, Paolo Di Canio.
Veniva dalla Rinascita 79′ e durante il provino ci nascose la palla, era veramente formidabile, ti saltava come i birilli, era semplicemente un fenomeno, giocavamo sotto età il campionato esordienti arrivammo secondi al girone e a fine campionato il trasferimento in blocco alla Lazio.
C’era una volta il vivaio
Questi i calciatori che passarono alla Lazio dalla ProTevere Roma:
Fabio De Angelis, portiere
Massimiliano Celentano, terzino destro
Angelo Gagliardi, terzino sinistro
Giulio Angelini, libero
Fabio Salvemini, stopper
Massimiliano Vetriani, centrocampista, capitano
Antonio Di Ruvo, attaccante
Fabio Gallo, centrocampista
Paolo Di Canio, attaccante
Antonio De Lucca attaccante
C’era una volta il calcio
Era il luglio del 1981, il Sor Michele, Presidente della ProTevere Roma, ci diede appuntamento alla stazione della metro Subaugusta e tutti insieme andammo nella sede della S.S. Lazio in Via Col di Lana dove ad attenderci c’era Bob Lovati per la firma del cartellino.
Il Sor Michele aveva cosi compiuto la sua missione.
Penso che nessun compenso gli venne riconosciuto dalla Lazio perché all’epoca tutto si faceva per pura passione o per una dozzina di palloni nuovi.