Era un portiere promettente Alfiero Caposciutti. Nelle Nazionali juniores si era tolto belle soddisfazioni: parata dopo parata era giunto a giocare pure le passerelle internazionali, come contro la forte Spagna. Certo, è vero che quel ragazzino dell’Alessandria, un sedicenne di nome Rivera, o qualcosa del genere, gli aveva rifilato quattro gol in una sola partita, ma sono cose che possono capitare. La Fiorentina, proprietaria del cartellino, lo mandava in giro per la “sua” Toscana a farsi le ossa. E lui, di parata in parata, sognava la serie A. Per questo non comprendeva perché il suo allenatore alla Lucchese, Leo Zavatti, avesse deciso improvvisamente di schierarlo centravanti.
Anche Roberto Strulli era un portiere. Quando s’incontreranno, per Roberto sarà l’ultima partita.
Un esperimento vincente
Alto, slanciato, capace di correre i 100 metri in 11 secondi, Alfiero Caposciutti aveva proprio il fisico del centravanti. E la porta la vedeva, eccome, anche se da una prospettiva diversa a quella a cui era abituato.
A San Benedetto
Nel novembre del 1964, la Sambenedettese chiamò la Fiorentina: “Avremmo bisogno di un portiere di riserva.” In realtà, i rossoblù cercavano un attaccante. L’affare andò in porto per 1 milione di lire. In amichevole, Alfiero si presentò con una cinquina. Solo a fine partita il pubblico sugli spalti scoprì che quello sconosciuto, tarantolato centravanti, era l’ex portiere Caposciutti.
Il derby con l’Ascoli
Il 14 febbraio 1965, giorno di San Valentino, si disputava la quarta di ritorno del girone C della serie C. Allo stadio “Fratelli Ballarin” di San Benedetto del Tronto era di scena il derby con il Del Duca Ascoli, squadra in cui militava un colosso di un metro e novanta, un difensore arcigno e romanaccio chiamato Carletto Mazzone. Era una sfida ampiamente sentita sugli spalti. In campo, invece, quasi non c’era storia: i padroni di casa al 40’ viaggiavano già sul 2-0, quando sui piedi di Minto si presentò la palla del possibile 3-0. Punizione dal limite battuta molto forte, il portiere ascolano Roberto Strulli respinse e poi si avventò sul pallone che ballonzolava a tre-quattro metri da lui nell’area di rigore. Ma non era il solo. A contendergli la palla arrivò Alfiero Caposciutti.
La tragedia
L’impatto fu violento. L’arbitro dell’incontro, il torinese Paolo Pfiffner, dichiarò qualche tempo dopo che si era sentito chiaramente “un agghiacciante scricchiolio di ossa”. I due giocatori caddero a terra. Alfiero si rialzò in preda a una crisi di nervi, gridando: “Arbitro, l’ho colpito io, l’ho colpito!”. A terra, invece, Roberto Strulli ebbe qualche sussulto, poi rimase immobile sull’erba, tra lo sconcerto di giocatori e tifosi.
Le parole di Caposciutti
“Ricordo che quel giorno a centrocampo, prima del fischio d’inizio, parlavo con Roberto Strulli. Ci dicemmo che a fine partita saremmo scappati subito. Io dovevo tornare con mio padre in Toscana e lui doveva correre da sua moglie, che aspettava un bambino. Non c’era antagonismo tra le persone. Noi alla fine del primo tempo eravamo già sul 2-0. Sul finire ci fu una punizione dal limite a nostro favore. Strulli parò il tiro ma il pallone gli sfuggì e carambolò all’altezza del dischetto del rigore. Ci siamo avventati contemporaneamente su quella palla, lui per farla sua, io per segnare il terzo gol. Quando ho capito che lui stava per arrivarmi addosso ho cercato di fermarmi. Ma lui, per sfortuna, mise una mano all’esterno delle mie gambe e una all’interno. Sbatté la mascella sul mio ginocchio piegato e perse i sensi subito. Io fui scioccato, non posso dimenticarlo.”
Roberto Strulli in ospedale
Durante l’intervallo, l’altoparlante dello stadio annunciò che Strulli si era già rimesso e che, addirittura, sarebbe tornato allo stadio per vedere la fine del match. Fu una pia bugia inventata dallo speaker per evitare disordini sugli spalti. In realtà, il referto parlò chiaro: frattura della mascella, contusione cerebrale e lesione encefalica. Inoperabile in quelle condizioni, come confermò il professor Beniamino Guidetti, specialista in neurochirurgia accorso apposta da Roma. Dopo alcune ore di coma, alle 6 del mattino successivo Roberto Strulli si spegneva. Era la prima volta in Italia che un calciatore professionista perdeva la vita per uno scontro di gioco.
Racconta ancora Alfiero
“Quando arrivai all’ospedale sentii il medico della Samb dire di avvisare i familiari di Strulli che non si sarebbe più ripreso. Nella notte arrivò, superando le intemperie di un viaggio difficile, un professore da Roma che disse la stessa cosa. Il mio allenatore mi impose di andare via, di tornare a casa. La mattina alle sei telefonai all’ospedale e mi dissero che Roberto era morto. Per me fu una coltellata.”
Un tragico incidente
Le foto dell’incidente dimostrarono ampiamente che Caposciutti tentò di saltare, ma colpì lo sfortunato avversario prima di riuscire ad alzarsi in volo. La carriera di Alfiero proseguì, pur portandosi dietro il senso di colpa per la tragica fine di un rivale, che lui aveva involontariamente causato.
“Gli avversari prima si avvicinavano solidali: ‘Ciao Caposciutti, ma non ti preoccupare per quello che è successo. Può capitare.’ Poi in campo tutto cambiava: il mio avversario diretto mi insultava. Mi dava dell’assassino, del delinquente. O peggio.”
L’incontro con la vedova e Roberto jr.
Solo molti anni dopo Alfiero trovò il coraggio di cercare la famiglia di Roberto Strulli.
“Mi aspettavano sulla soglia. La moglie e il figlio che mi abbracciarono, prima lei e poi lui. Mi dissero le parole che mi hanno tolto definitivamente un peso dal cuore, un peso enorme: non abbiamo mai pensato che tu fossi responsabile di quello che è successo.”