Iniziavi a giocare a pallone nel cortile sotto casa, continuavi per strada e ar campetto per poi partecipare a un campionato vero con la squadra del quartiere. Succedeva così spesso che, proprio con l’aiuto der pallone, con quel pallone che avevi nel sangue come una droga e riuscire a smettere non era facile, più d’uno trovava lavoro.
Al tempo ogni ditta di media o grande importanza aveva il torneo interno, prestigiosissimo e ambito.
Per tutti gli altri lavoratori, chi commerciante, chi elettrauto, chi tipografo e così via, c’erano degli Enti per il Dopolavoro che organizzavano veri e propri campionati. Questi Enti riflettevano un po’ gli equilibri di quello che allora era il cosiddetto arco costituzionale. L’UISP, ad esempio, aveva un’ispirazione di sinistra, mentre il CSI aveva una chiara ispirazione clericale. Poi c’era l’ENAL, che per non sbagliare direi fosse d’ispirazione centrista.
Il Torneo del Dopolavoro era un mondo a sé stante. Calcio, certo, ma forse sarebbe meglio dire calcio perduto.
La Fiduciaria di Cinecittà
Veniamo alla nostra storia, però.
Fu proprio a un torneo del Dopolavoro ENAL che, con il nome di Fiduciaria, partecipò la prima squadra dopolavoristica del quartiere Cinecittà.
La Fiduciaria era una microscopica agenzia che si trovava in un cortiletto interno di viale Spartaco. Era di proprietà del papà di uno degli “atleti”, cioè di uno di noi, e fu lui che ci fornì la divisa da gioco.
La prima cosa da fare era iscriversi, gratuitamente, ad uno degli Enti.
Il nostro era a viale dei Consoli, una sede che per noi era una reggia con bijardini e bijardo, ma non il ping-pong che invece avevano altri. Poi c’erano anche le carte, ma non si poteva giocare a soldi, almeno non ufficialmente.
La seconda cosa da fare era inequivocabile e passava di bocca in bocca: “fa a squadra e trova’ un campo, a poco però, pe’ gioca’…”
Ebbene, noi il campo ce l’avevamo, e che campo!
Noi giocavamo al Campo Patti!
Sebastiano Patti
A proposito, sapete perché si chiama così, anzi, si chiamava, visto che adesso di quel campo è rimasta solo una vecchia targa su un muro? Il Campo Patti si chiamava così in ricordo di un giovane del quartiere morto in circostanze drammatiche e particolari: Sebastiano Patti.
Villeggiatura, al tempo, era un termine sconosciuto nel quartiere quasi nessuno se la poteva permettere e allora per il cambiamento d’aria dei giovani provvedevano varie Organizzazioni: i Dopolavoro, il Comune e via dicendo. Da noi c’era anche la Parrocchia che con l’aiuto di tutti (negozianti compresi) portava in vacanza una quarantina di giovani. Quell’anno eravamo sulle Dolomiti e tra le tante attività che si facevano, c’ era anche la gita a piedi per raggiungere una delle cime più pittoresche: la Croda Rossa. All’alba partimmo con il pranzo a sacco e tanta voglia di camminare, agevolati dalla giornata tersa ed assolata. Dopo diverse ore di cammino si arrivò all’ultimo rifugio possibile e lì, davanti a un panorama mozzafiato, consumammo il pranzo. Alcuni di noi si sbrigarono a mangiare e chiesero il permesso di raggiungere un altro punto panoramico distante una mezzoretta dal rifugio. Io ero con loro. Avuto il permesso iniziammo l’ulteriore scalata mentre il resto del gruppo si riposava.
“…a Patti, prestece er pettine”
In montagna, si sa, può accadere. Il tempo cambiò repentinamente, in pochi minuti iniziò a tuonare e poi a piovere. Di corsa affrontammo la via del ritorno per ritrovarci, fracichi ma contenti, nel rifugio.
Dopo esserci ripresi e asciugati qualcuno disse: “a Patti, prestece er pettine…te ce l’hai sempre!”
Nessuna risposta.
“E daje a Patti nun fa lo scemo, prestece sto pettine”.
Solo allora ci rendemmo conto che Sebastiano non c’era!
Subito tornammo indietro e rifacemmo lo stesso percorso pensando che si fosse rifugiato in un anfratto: niente.
Tornammo in paese per avvisare i Carabinieri che iniziarono immediatamente le ricerche.
Sebastiano fu ritrovato al mattino dopo in fondo ad un crepaccio con le stelle alpine, che evidentemente si era fermato a raccogliere, ancora strette nella mano.
Don Paolo dovette subire giustamente un processo penale e fu condannato per incauta custodia di minore a tre anni e quattro mesi con la condizionale. Da allora nelle colonie organizzate dalla Parrocchia c’era sempre un Direttore maggiorenne che se ne assumeva la responsabilità. Don Paolo non fu mai arrestato.
Ma ritorniamo alla vicenda sportiva
Del campo Patti pochi sanno che era leggermente in discesa verso via del Quadraro ed allora la monetina dell’arbitro prima dell’inizio gara era vitale vincerla. Er secondo tempo in salita sarebbe stata na faticaccia che nemmeno Lawrence d’Arabia avrebbe avuto il coraggio di affrontare.
Ovviamente il livello dei giocatori era quello che era, non tanto tecnicamente, ma atleticamente bisognava capirci. Al tempo la settimana lavorativa era lontana dall’essere di 40 ore, per cui il tempo per allenarci non c’era proprio. Per noi che giocavamo, ma neanche per gli arbitri. Una volta a Ostia un arbitro, indicando il trenino che passava, ci disse che avrebbe fischiato la fine della partita quando “finiva quella sulla Tuscolana” … ovverosia fino a che la squadra avversaria “nun pareggiava”. Non andò così e furono proprio loro a chiedere la “fine de sta tortura”.
La squadra
La Fiduciaria però era composta da ottimi giocatori che non trovarono difficoltà ad essere, quasi da subito, in testa alla classifica. Unici avversari erano i poliziotti. Non capite male, però. Non giocavamo mica a guardie e ladri. Anche i poliziotti avevano una squadra del Dopolavoro che partecipava al torneo dell’ENAL con il nome di Amaranto. Ad allenarli erano due famosissimi commentatori delle prime radio private romane: uno della Roma e uno della Lazio, Alberto Mandolesi e Michele Plastino.
Fiduciara vs Amaranto
Nello scontro diretto a casa loro ci fu un disguido organizzativo. Colpa loro e noi ci trovammo con partita vinta 3 a 0 a tavolino. Qualche giorno dopo mi telefonò uno dei due allenatori chiedendomi di poter ripetere la gara perché non era giusto che il torneo fosse deciso a tavolino.
Io risposi che avrei sentito i miei giocatori, ma che anche secondo me il torneo doveva essere vinto sul campo. Misi una condizione, però: la gara da recuperare si sarebbe dovuta giocare il sabato perché gli altri giorni lavoravamo tutti fino a tardi.
Ovviamente mi chiamò anche l’organizzazione del torneo per confermare la nostra disponibilità a recuperare la gara, che infatti fu programmata sportivamente dietro loro pressione per il primo pomeriggio di un mercoledì!
Quel mercoledì la Fiduciaria si presentò e stravinse, anche perché a giocare sotto falso nome c’erano cinque amici miei, guarda caso tutti calciatori in Eccellenza.
Quella fu l’unica volta, in più di 60 anni di calcio, che non porsi l’altra guancia e che mi comportai poco sportivamente.
I due commentatori capirono e vennero da me a lamentarsi.
Io, da Quadrarolo, li zittii ricordando quali erano i patti.
Finì che furono loro a chiedere scusa e ad accettare la sconfitta.
Ecco, questa è una piccola storia di un calcio perduto
Il calcio di un torneo del Dopolavoro, di squadre di quartiere, di emozioni tagliate con il coltello per quanto ci coinvolgevano, perché quelle partite sul campo in discesa per noi erano più importanti della Coppa del Mondo.
E dopo tanto nessuno mi toglie dalla mente che lo erano per davvero.
Nota alla foto
Non abbiamo immagini del Torneo del Dopolavoro ENAL e neanche della squadra della Fiduciaria,
ma se qualcuno che leggerà questa storia ne ha, volentieri le pubblicheremo.
L’immagine in copertina viene dal nostro archivio, una fotografia dispersa che abbiamo recuperato
e di cui non sappiamo nulla oltre quello che vediamo.
Sono due ragazzi fotografati su un campo di chissà dove in Italia.
Sono giovani, in età di lavoro e sono felici.
Noi i ragazzi della squadra della Fiduciaria li immaginiamo così.
Proprio come loro. (NdR)