Lo incontro in una rinomata pizzeria del centro di Roma. È in pensione da poco, ma ha ancora il fisico imponente del roccioso difensore che fu, quando scorrazzava sui polverosi campi dilettantistici laziali (“contro di me, un giovane Andrea Silenzi non toccò palla”, racconta con orgoglio). Una passione che viene da lontano, la sua: lo zio, prima bomber di razza con la Cirio e poi allenatore delle giovanili del Napoli (arrivò in semifinale al Viareggio 1968), mentre il padre era un ottimo terzino destro, che arrivò alle soglie della serie A quando in maglia azzurra militavano gente come Bugatti, Amadei e Hasse Jeppson.
Da ben nove anni, Arturo Matarazzo è il presidente di Romazzurra, club che riunisce centinaia di tifosi azzurri residenti nella Capitale dal 1986, quando, dopo un Lazio-Napoli di Coppa Italia terminato 0-2 con le reti di Carnevale e Maradona, fu proprio il Pibe de Oro a recarsi in sede e a concedere all’allora fondatore e presidente Sergio Pompeo Marià l’uso del nome Diego Armando Maradona 10 – Roma Azzurra. Per la maggior parte si tratta di partenopei in esilio, che nella capitale hanno trovato stabilità lavorativa, e magari anche affettiva. Ma c’è anche qualche tifoso di seconda generazione, che ha ereditato il cromosoma azzurro dal padre, pur essendo romano a tutti gli effetti. Una sorta di doppia nazionalità, che è una ricchezza, un valore aggiunto, anche se a volte pesa un po’.
Lo senti parlare, con quel suo accento che ricorda tanto il maestro Franco Califano (un altro romanaccio di origini campane, essendo i genitori di Pagani e di Nocera Inferiore) e fatichi a pensare che, invece, da sempre spende il suo tempo libero per il Napoli e per i tifosi come lui.
Prima che arrivi a tavola la frittura che abbiamo ordinato come antipasto, decido di entrare subito in argomento:
“Arturo, cosa significa vivere una passione calcistica per una squadra in territorio ‘straniero’, a volte perfino ‘ostile’?”
Si fa serio per un momento, poi risponde, ponderando le parole: “Vivo a Roma dal 1968, circondato da amici di entrambe le sponde romane. Anche se in maniera distaccata, in questi anni ho assistito ai vari successi delle squadre capitoline. Dal 2014, dopo i fatti di cronaca [si riferisce alla vicenda di Ciro Esposito] che per me non hanno nulla a che fare con il calcio, tra l’altro proprio l’anno della mia nomina a presidente di un club di tifosi del Napoli, il rapporto è inalterato, anche se guardingo, a tutela di Romazzurra, il gruppo che rappresento. L’imbecille di turno è sempre pronto a colpire.”
Roma, crogiuolo di genti e di culture, ospita ovviamente appassionati di molte squadre. Mi viene spontaneo chiedergli quali siano i rapporti con le diverse tifoserie presenti sul territorio.
“A parte lo sfottò quotidiano con gli amici sul posto di lavoro, nelle attività commerciali, con i parenti acquisiti, che sono parte delle normali relazioni personali, non ci sono rapporti tra club. Premetto che il club Romazzurra non ha mai subito insulti, minacce o rifiuti da parte dei locali che ci hanno ospitato in questi anni. Anzi, in alcune circostanze abbiamo condiviso la visione della partita con le tifoserie avversarie, gestendo con intelligenza sportiva l’evento.”
I fritti sono andati, nel senso che sono finiti, troppo presto. Ma arrivano le pizze, rigorosamente alla napoletana.
“Ma, allora”, gli chiedo, “come si svolge la settimana tipo di un ‘emigrante’ del pallone?”
Un sorso alla birra, e poi risponde: “Nella doppia veste di abbonato nei distinti del Maradona e di presidente ddi Romazzurra, la settimana trascorre nell’organizzare la visione della partita in pizzeria, prendendo nota dei partecipanti in base agli accordi con la direzione del locale che ci ospita e nell’organizzare la trasferta per chi si recherà allo stadio, a Napoli o in trasferta, cercando di distribuire in base alle esigenze dei singoli le vetture messe a disposizione.”
La nostra piacevole chiacchierata volge al termine. Mi mostra alcune fotografie colorate d’azzurro che ritraggono i soci ddi Romazzurra in sede oppure allo stadio.
“Ma si tratta soltanto di calcio, o organizzate anche attività collaterali, socioculturali?”
Scuote la testa, quasi impercettibilmente. Poi un movimento del labbro, preludio a una risposta amara. “Nei miei 9 anni da presidente di Romazzurra si è cercato di andare al di là del calcio, ma con scarsi risultati. Roma è una città dispersiva, gli spostamenti sono difficoltosi e ci sono problematiche anche dal punto di vista economico. Il costo della vita è divenuto caro e qualsiasi manifestazione ha un costo. Infatti, non abbiamo una sede stabile per sgravare i soci di un impegno economico importante. Certo, la rappresentanza campana è vasta, sarebbe bello coinvolgerla anche in altri settori, ma è un lavoro oneroso che ha bisogno della collaborazione di più figure.”
È giunto il momento di accommiatarci. Ma un’ultima domanda è d’obbligo:
“Com’è stato festeggiare lo scudetto del Napoli a Roma?”
Sorride. “In occasione di Udinese-Napoli c’è stata una grande partecipazione presso la pizzeria che ci ha ospitato. Il pienone, con più di 100 persone che al fischio finale hanno esultato e manifestato davanti al locale la propria gioia, coinvolgendo giocosamente i passanti. Fumogeni, maglie e bandiere azzurre, e trombette per un fragoroso brindisi con mega torta, gradita soprattutto dai turisti stranieri, molto presenti nella zona. La pizzeria, infatti, si trova tra Piazza di Spagna e Fontana di Trevi. Subito dopo, ci siamo riuniti con altri tifosi in Piazza del Popolo, regalando un sorriso di curiosità alle forze dell’ordine in servizio, ai romani e ai turisti!”
Un gran bel ricordo, da conservare per sempre nelle memorie dei tanti appassionati sempre in bilico tra la vita che si consuma nella Capitale e la passione sportiva che porta inevitabilmente là, in riva al Golfo più bello che c’è, dove tutto ebbe inizio.