Un semplice pallone di cuoio che, come un libro di testo, racconta la storia d’Italia dalla sua Unità ai giorni nostri.
Il calcio che, quindi, diventa uno strumento didattico che entra nelle scuole, nelle università, e nei luoghi di studio per rivendicare e sottolineare un’importanza sociale e culturale che va ben oltre il fenomeno sportivo.
Questi sono stati gli obiettivi che tre anni fa (2018) hanno dato vita e slancio ad Un Secolo d’Azzurro, la più grande e completa mostra itinerante sulla storia della nostra Nazionale di calcio.
Dal pallone con cui si giocò, a Roma, nel 1895, la prima partita ufficiale con le regole della Football Association, agli scarpini del leggendario Giuseppe Meazza passando per le magliette azzurre dei campioni più amati (Baggio, Totti, Maldini, Buffon, Rivera) ed autentiche perle come la casacca della Rappresentativa Bersaglieri del 1943, delle Nazionali olimpiche del 1948 e 1952, e quella del numero 10 per eccellenza del cinema italiano, il grande Massimo Troisi.
Una meravigliosa rassegna antologica promossa dall’Associazione S. Anna di Aldo Rossi Merighi e Sabrina Trombetti e curata da Mauro Grimaldi (Consigliere delegato Federcalcio servizi) che gode di autorevoli patrocini quali FIGC, Anci, Museo di Coverciano e vanta rapporti di amichevole collaborazione con il museo del Genoa e il museo del Grande Torino e della Leggenda Granata.
La storia come valore da condividere, il collezionismo sportivo per mostrare l’origine, lo sviluppo, l’evoluzione del gioco più amato del mondo mediante rarissimi cimeli d’epoca custoditi, gelosamente, per tanti anni, e che ancora oggi parlano di cultura, tradizione ed identità.
Cultura, tradizione, identità, che vivono e si manifestano proprio in quello che è stato definitivo “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” ovvero il gioco del calcio.
Per comprendere lo stretto e profondo legame storico-culturale che unisce lo sport italiano per eccellenza alla stessa Nazione, c’è un modo molto semplice ed evidente: partire dal suo nome.
In tutti i paesi del mondo, nonostante lingue diverse, il gioco del pallone è chiamato in maniera identica perché declinato dal termine tradizionale inglese football.
In Spagna el fútbol , le footbal in Francia , o fotebol in Brasile e Portogallo, der fussball in Germania, het voettball in Olanda.
In Italia, caso unico, il nome subì una trasformazione radicale: arrivato come football nel 1890, in particolare nel cosiddetto triangolo industriale (Milano, Torino, Genova), il gioco del pallone, nel giro di pochi anni, diventò popolare come calcio.
Il motivo è molto semplice.
Nell’Italia post-unitaria, la questione linguistica era fortissima: bisognava dare una nuova lingua agli Italiani al punto che venne creata a tavolino sul modello del fiorentino volgare aulico dei notissimi scrittori medievali Dante, Petrarca, Boccaccio.
Per dare un termine italiano al football, fu pertanto automatico e naturale ricercarlo nella storia toscana, prendendolo in prestito dal famoso Calcio Fiorentino che si giocava a piazza della Signoria, a Firenze, nella prima metà del 1400 e, di conseguenza, la sua origine venne riportata, un po’ forzatamente, indietro nel tempo, addirittura al Rinascimento!!
La mostra Un Secolo d’Azzurro per ovvi motivi di storicità ed oggettività parte da una data specifica, quella ufficialmente riconosciuta, il 1898, perché è l’anno di fondazione della F.I.F. e del primo Campionato di calcio in Italia: e racconta, appunto, l’epopea dei primi 120 anni della nostra Nazionale di calcio che è del tutto differente e per certi versi unica rispetto a quella degli altri Paesi del mondo.
Le ragioni non solo soltanto storiche e culturali, come abbiamo potuto già vedere, ma sono parte del patrimonio genetico, del Dna della nostra Nazione: il nuovo sport importato dall’ Inghilterra si fuse perfettamente con la fantasia, la creatività e soprattutto con una grande dote propria degli italiani: l’innata propensione al gioco.
Questa propensione al gioco si perfezionò, si completò, e diventò vincente, a livello mondiale, grazie ad un’altra nostra attitudine naturale maturata in secoli di storia: l’istinto alla difesa. Difesa di uno spazio, di un territorio, di un confine, in quanto siamo una Penisola attaccabile su tutti e quattro i fronti e per forza di cose e necessariamente abbiamo dovuto maturare questa dote, nel corso dei secoli.
Storia, cultura, attitudine naturale al gioco e genialità fanno sì che il calcio, segua, parallelamente, e fin dal principio, tutti gli eventi più importanti ed i cambiamenti epocali della nostra storia: dalla sua Unità alla Società 2.0 passando per la Monarchia, il Fascismo, la Repubblica, la rivoluzione del 1968 e gli anni di piombo.
A dir la verità si giocava a pallone, soprattutto nelle campagne, anche all’inizio del 1800, ma era gioco primitivo molto violento che spesso terminava con la morte di uno o più partecipanti e quindi, fin da subito venne osteggiato e vietato dai principi risorgimentali che lo vedevano come fonte di campanilismi tra comuni vicini, ed in forte contrasto con lo spirito di fratellanza che dovevano avere i patrioti.
Non scordiamoci, poi, che sul suolo italiano era vietato il diritto di libera associazione, e chi si riuniva poteva farlo solo segretamente, altrimenti veniva arrestato come cospiratore o come carbonaro e il più delle volte veniva giustiziato.
Fu proprio il diritto di libera associazione tutelato e promosso dall’ Inghilterra vittoriana che permise ai primi club sportivi formati soprattutto da giovani universitari di scrivere le regole del Football moderno e proporli a tutte le federazioni internazionali come ufficiali, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900.
Anni in cui, accantonata la pagina Risorgimento, in Italia la situazione non cambiò per il nostro calcio che si trovò a combattere contro i poteri forti per eccellenza.
In primo luogo la Chiesa cattolica perché la partita domenicale rischiava di togliere interesse e pubblico alla messa e soprattutto, fatto inaccettabile, violava il terzo comandamento: ricordati di santificare le feste.
In secondo luogo dagli intellettuali marxisti e dagli appena nati sindacati socialisti perché non tolleravano assolutamente la sua natura popolare e intersociale che rischiava di allontanare il mondo operaio dalla agognata lotta di classe.
Nonostante queste difficoltà, questi impedimenti tra virgolette politici, religiosi ed ideologici il calcio, in venti anni esatti dal 1920 al 1940 raggiunge, supera e surclassa per numeri di spettatori e popolarità tutti gli altri sport cosiddetti nazionali quali la scherma, la boxe ed il ciclismo e non solo passa indenne ma rafforzato dalle due Guerre Mondiali che, paradossalmente, furono determinati e fecero da acceleratore per il suo sviluppo, la sua evoluzione e la sua rapidissima ascesa.
Ascesa che inizia, infatti, in modo massiccio, proprio durante la Prima guerra mondiale quando la leva obbligatoria chiamò al fronte migliaia di ragazzi del Sud che impararono il calcio proprio dai commilitoni del Nord con cui dividevano e la trincea e i pochi momenti di svago proprio giocando a pallone.
Non dobbiamo scordare anche i moltissimi calciatori che partirono volontari, fra i quali ricordiamo Luigi Ferraris a cui è dedicato lo Stadio di Genova.
La Seconda guerra mondiale sancì, poi, un nuovo status per il calciatore che venne esentato dagli obblighi militari non solo perché il campionato di Serie A non si fermò ma perché patrimonio delle società vennero assunte in fabbriche: la leggenda del Grande Torino, del forte cameratismo che univa i suoi giocatori nasce dal fatto che molti suoi giocatori lavoravano nella stessa fabbrica dell’Alfa Romeo.
Per sintetizzare l’importanza del fondamentale contributo che diede l’Italia al cosiddetto calcio dei pionieri possiamo citare le parole del più grande dirigente sportivo, presidente della F.I.F.A., nonché inventore dei mondiali di calcio, Jules Rimet: “se è vero che gli inglesi hanno inventato il calcio e i francesi lo hanno organizzato è altrettanto vero che furono gli italiani i primi a metterlo in pratica e lo hanno insegnato al resto del mondo“.
Non è un caso che il cosiddetto calcio all’ italiana sia ancora studiato e praticato dopo quasi 100 anni e soprattutto sia così attuale.
Un patrimonio ineguagliabile di aneddoti, paradigmi, metafore, uomini, fatti, leggende, veri e propri oggetti cult che rivivono all’interno della mostra Un Secolo d’Azzurro.
Come non emozionarsi davanti al Tango Espana autografato dall’eroe Mundial, Marco Tardelli?
Come non sorprendersi avendo a pochi centimetri la ricostruzione con indumenti originali della prima maglietta utilizzata dalla nostra Nazionale, nel maggio del 1910, e che era, udite udite, una camicia da smoking!!!
Come non sorridere guardando gli scarponcini del 1890 realizzati in cuoio duro, legno e chiodini di ferro e che arrivavano a pesare oltre un chilo?
Come non tornare bambini di fronte ai primi Subbuteo del primo Novecento e ai calciobalilla in latta e legno del 1930?
L’obiettivo principale di Un Secolo d’Azzurro è proprio questo: attualizzare il passato, e renderlo il più possibile, fruibile ed interessante alle nuove generazioni, in modo che queste a loro volta possano trasmetterlo, tramandarlo con la stessa passione.
Un viaggio iniziato nel 2018 e che ha portato la mostra in 12 città italiane con grandissimo successo di pubblico e di critica, fermato solo parzialmente a causa del coronavirus e che rinizierà dal mese di giugno con tre grandi tour in Emilia Romagna, Marche ed Abruzzo fino al mese di ottobre.
Per il 2022, in occasione dei Mondiali in Qatar, verrà inaugurata una esclusiva esposizione che ripercorrerà tutta la storia della mitica Coppa del Mondo dal 1930 ad oggi, con cimeli, memorabilia ed attrezzi da lavoro sempre più prestigiosi e ricercati e campionissimi del passato che parteciperanno come testimonial delle due nuove iniziative che arricchiranno la mostra: Street Museum e Food&Football.
E la storia continua…