La passione di un ragazzino
C’era un ragazzino che negli anni sessanta correva nel motocross.
Quando il padre, che gli aveva trasmesso la passione, iniziò a lamentarsi per i costi delle trasferte e delle riparazioni, lui pensò di risolvere il problema diventando autosufficiente per la meccanica e scrivendo qualche articolo sulle gare da proporre a una rivista del settore, così da sovvenzionare una attività che diventava sempre più costosa.
Ogni bambino ha il suo atelier dei sogni, ma lui certo non poteva sapere di aver deciso in quel momento la vita che avrebbe fatto per i successivi quaranta e passa anni.
Penna e motori
L’articolo infatti colpì un caporedattore, che poi sarebbe stato il suo mentore facendolo assumere non appena raggiunta la maggiore età.
La storica decisione, infatti era stata presa ad appena quindici anni, ma l’attrazione per le chiavi inglesi risaliva ad ancora prima. I motori erano la malattia di famiglia, anche se poi padre, zii e cugini avevano preferito un tranquillo posto in banca.
Un aspetto curioso, è che l’aspirante giornalista di moto e auto, per correre usava quelle moderne, ma poi stravedeva per quelle più datate, che solamente pochi lungimiranti allora definivano d’epoca, per gli altri erano vecchie carrette di cui disfarsi a poco prezzo.
Le prime ruote
Mentre i coetanei sbavavano per sibilanti due tempi, stringendo la cinghia, il nostro diciottenne dopo essere andato a vivere da solo si mise in garage prima una Laverda SFC, di lì a qualche mese una Moto Guzzi V7 Sport appartenuto a un famoso pilota monzese.
Infine, per le giornate piovose non una vettura qualsiasi, ma una Alfa Romeo 1750 GT Veloce, preparata da un ex motorista Autodelta e bisognosa di cure, che le prestò durante l’inverno, incurante della temperatura polare nella sua officina improvvisata. Ormai era chiaro che se la pagnotta era assicurata dalle meccaniche moderne, il vero amore erano quelle dei tempi andati.
Dallo studio al lavoro
Con il parco auto e moto che cresceva a vista d’occhio, lo stipendio di redattore-tester nel giro di qualche anno diventò insufficiente.
Ottenuto un contratto part time, alle prove delle moto e al lavoro di redazione venne quindi abbinato quello di carrozziere, poi di meccanico presso due officine specializzate in mezzi d’epoca. A risentirne furono gli studi universitari interrotti prima della laurea, perché qualche ora si doveva pur dormire, mentre tutto il tempo libero e i fine settimana erano assorbiti dalle gare, passando con discreti risultati dal fuoristrada alla velocità.
Accumulata una discreta esperienza nelle varie lavorazioni meccaniche e nei collaudi, il passaggio all’R&D (ovvero il reparto ricerca e sviluppo) di una nota casa motociclistica divenne praticamente inevitabile, anche se con l’intermezzo di qualche anno presso una concessionaria di auto impegnata anche nelle competizioni.
Obiettivo 40
Dopo essersi ripromesso di aprire un’officina in proprio entro i quarant’anni, l’obiettivo venne raggiunto persino in leggero anticipo. Da quel momento si può dire che, a parte la famiglia che nel frattempo era cresciuta, il nostro non avrebbe più avuto altri interessi oltre al lavoro con il quale aveva realizzato il sogno di una vita.
Riparando e restaurando moto e auto d’epoca, sviluppò un’attrazione sempre maggiore per le strumentazioni e i cruscotti, ma solo quelli rigorosamente analogici, che una volta cessata la carriera finivano appesi alle pareti dell’officina e persino di casa.
Il problema era che il quadro strumenti di modelli come Bugatti, Porsche, Ferrari e Aston Martin, per motivi non solo di rarità ma anche di costi, risultavano decisamente fuori portata per la maggior parte dei comuni mortali.
Maneggiare il sogno: le repliche
Grazie alla padronanza nella lavorazione di vari materiali, al nostro artigiano venne allora l’idea di costruirsi delle riproduzioni il più possibile fedeli e in dimensioni reali di plance e cruscotti. Rifacendo pezzi che, in caso contrario, solo un emiro arabo abbastanza pazzo da tagliarli dall’auto vera, avrebbe potuto appendere in salotto.
Legno, acciaio, alluminio, ottone, vetro, pelle, vetroresina e bachelite.
Per ottenere una replica perfetta – non funzionante in quanto adibita a uso arredo ma identica in tutto e per tutto all’originale- era obbligatorio utilizzare gli stessi materiali usati nelle auto vere.
Con una notevole dose di cocciutaggine e svariati tentativi, alle fine riuscì a riprodurre anche spie, interruttori, comandi e griglie della ventilazione, oltre ovviamente a lancette, quadranti, vetri e relative cornici cromate.
Per imparare a lavorare i vetri bombati fu necessario ricorrere a un amico vetraio, mentre per i rivestimenti in pelle l’esperienza della moglie con le macchine da cucire industriali si è rivelata preziosa.
Il primo lavoro, agli occhi del suo incontentabile autore era ancora migliorabile, eppure un collezionista torinese lo volle a tutti i costi. Anche se il termine non gli è molto gradito, perché preferisce definirsi un artigiano, essendo prossimo all’età della pensione, il nostro era ormai diventato un artista a tempo pieno. Toccò quindi rifarsi da capo quel primo pezzo, e lo stesso sarebbe accaduto per molti dei lavori successivi, spesso prenotati ancora prima di essere completati.
A un certo punto un altro amico, oltre al cruscotto, pensò di chiedergli di riprodurre anche il volante molto particolare di un’auto da record, prodotta dalla Abarth in un solo esemplare. Ottenere il risultato voluto, comportò anche in questo caso il superamento di numerose difficoltà tecniche, vissute più come una sfida e un’opportunità che un ostacolo insormontabile.
L’unico vero problema, in realtà sarebbe dover replicare troppe volte lo stesso soggetto.
Dato che ogni lavoro parte dalla ricerca di una dettagliata documentazione storica attraverso immagini dell’epoca, dovendo rifare la stessa autovettura si cerca quindi di prendere come riferimento due esemplari diversi.
Wood & Metal Garage: l’atelier dei sogni
Il fatto che le auto di una volta poi fossero costruite con criteri altrettanto artigianali, non solo evita la sindrome da catena di montaggio, ma rende ogni pezzo che esce dal laboratorio Wood & Metal Garage – che altro non è che un atelier dei sogni – un vero e proprio esemplare unico, al cui cospetto si prova un’emozione intensa, simile a quella che può dare sedersi nell’abitacolo di vetture altrimenti inavvicinabili, perché valgono milioni di euro.
La vista, il tatto, il profumo di pelle, legno e metallo lavorati con tecniche tradizionali, regalano infatti sensazioni che un’auto moderna non potrà mai dare.
Senza alcun tipo di pubblicità, ma grazie al semplice passaparola, col tempo alcuni lavori del piccolo atelier dei sogni sperduto nella tranquilla campagna maremmana sono arrivati anche in musei e collezioni straniere, eppure ancora oggi vengono cortesemente declinate richieste di modelli fuori da determinati canoni, ad esempio quelli ritenuti eccessivamente moderni.
Il numero delle riproduzioni di cruscotti Irraggiungibili – nome coniato proprio da uno dei più affezionati collezionisti di questa insolita forma d’arte che l’autore definisce Quadri in tre dimensioni – nel corso degli anni si è allargato alle auto più iconiche della storia.
Bolidi da corsa, vetture sportive, formula uno, esclusivi di lusso che partono dagli anni trenta e arrivano al massimo alla fine degli anni sessanta, come nel caso della Ford GT 40 MKII che trionfò alla 24 Ore di Le Mans.
La preferenza infatti va a soggetti che prevedano l’impiego dei più classici tra i materiali, come legno, pelle oppure alluminio, specie se impreziosito dall’ accurata finitura bouchonnè tipica delle vetture anni trenta, in alternativa a quelli considerati invece troppo recenti.
Riproduzioni assai diverse tra loro ma con una precisa caratteristica in comune: oltre che perfettamente identiche all’originale, per realizzarle non vengono mai utilizzati pezzi di ricambio. Ogni dettaglio infatti viene accuratamente riprodotto con un lavoro che richiede complessivamente un mese e in qualche caso anche di più, perché in un atelier dei sogni non è mai il tempo a dettare la linea.
“Altrimenti sarebbe troppo facile”- dice lui.