Comico eccentrico. La locandina che pubblicizza il programma di un giorno di settembre del 1920 al Teatro Jovinelli di Roma recita così. La data precisa si perde nel tempo, ma si narra che proprio in questo periodo i veraci spettatori dell’avanspettacolo abbiano assistito a una scena esilarante. Al tempo il pugilato era di casa nei teatri e quel giorno il vulcanico impresario Peppe Jovinelli decise di anticipare il match in programma con un combattimento surreale che avrebbe dovuto divertire il pubblico. Sul ring il pugile di casa, tal Oddo Ferretti, e il comico eccentrico, ovvero un giovane e magrissimo Totò. Il fatto è che il comico eccentrico prende un po’ sul serio il match surreale e tra lazzi e sberleffi mette a segno un paio di colpi sul viso del pugile. Al primo il pugile pensa sia uno sbaglio, ma al secondo capisce che l’altro fa sul serio, urla e gli si avventa contro. Cresciuto nei vicoli del rione Sanità, Totò sa bene quando è il momento di sparigliare le carte e lasciare il campo. Scappa, l’altro lo rincorre, il pubblico si sganascia dalle risate, don Peppe Jovinelli mette al sicuro il suo comico e il successo è assicurato. Con ogni probabilità, questo è il primo incontro di Totò con lo sport.
Dai vicoli al cinema
Vita inizialmente accidentata, scugnizzo di strada scampato a un sacerdozio per necessità, geniale, surreale, gran signore nonché vantato principe di Bisanzio, Antonio de Curtis, nasce il 15 febbraio 1898 nel cuore di Napoli. Con poca voglia di studiare, la sua prima maestra sarà l’umanità dei vicoli, miseria compresa. I teatrini parrocchiali lo vedranno prendere confidenza con parole, palco e pubblico, il percorso sarà malandato, l’avanspettacolo a cui approderà è ambiente duro, gli impresari spesso gaglioffi, il pubblico irriverente. Tutto fa esperienza. Totò matura, cresce, affina la sua maschera, non dimentica da dove viene e sa dove vuole andare. Al cinema Totò arriva nel 1937 con un film dimenticabile, “Fermo con le mani” di Gero Zambuto. Nei trenta anni successivi Totò sarà in altre novantasei pellicole, la critica lo guarderà a lungo con sufficienza, ma il cuore del pubblico lo farà entrare da gigante nel panorama culturale del novecento italiano. Tra le sue maschere complesse ben oltre le apparenze e nel suo mettere in scena gli italiani, lo sport non poteva mancare.
Il Giro d’Italia
Totò non era uno sportivo, la sua fisicità la esprimeva nella maschera facciale, nella mimica e nella gestualità di scena. Abbastanza per consentire a Mario Mattoli di trasformare Totò nel bresciano professore liceale Antonio Casamandrei, ciclista per promessa d’amore faustiana. “Totò al Giro d’Italia” è del 1948 e vede il nostro muoversi in uno scenario iper realistico, biciclettando su quello che definisce “mezzo metallico munito di pignone e campanello” e incontrando campioni che interpretano sé stessi come Fausto Coppi, Fiorenzo Magni e Gino Bartali. Preziosi anche i camei con Giacomo Di Segni, allora campione italiano dilettante dei medio massimi, e Tazio Nuvolari, quasi al termine della sua carriera e al quale Totò riserva un “…questo ragazzo si farà.”
Totò lascia o raddoppia?
Nel 1956 sarà Camillo Mastrocinque che porterà Totò a sconfinare nello sport, anche se non praticato. “Totò lascia o raddoppia” si inserisce sulla scia del successo del quiz televisivo che diventa la scena nella quale si muove il duca Gagliardo della Forcoletta dei Prati di Castel Rotondo. Nobile di nascita, ma non di destino, il duca vive nel mondo dei cavalli e cerca di sbarcare la vita armeggiando di scommesse all’ippodromo. Il film trova la sua scena nel fortunato quiz condotto da Mike Bongiorno dove, tra paternità naturali, opere di bene e arte dell’arrangio, il duca realizza il sogno degli italiani trovando fortuna e riscatto.
Il calcio, ovviamente
“Gambe d’oro” è del 1958, la regia è di Turi Vasile su soggetto di Antonio Margheriti che presto diventerà il padre della fantascienza cinematografica italiana. La vicenda si svolge a Cerignola e vede Totò nella veste del barone Luigi Fontana, presidente della locale squadra di serie C. Tra le venature sentimentali che riguardano la figlia del presidente e l’attaccante di maggior valore della squadra, si inserisce il calcio mercato che rischia di turbare vite pubbliche e private. Con patemi vari si arriva al finale nell’aula del consiglio comunale dove Totò annuncia che il Cerignola non venderà le sue perle e declama che “…i ragazzi vogliono andare in serie A, ma tra tre anni, vincendo i vari campionati tutti insieme sotto la gloriosa bandiera del Ce-ri-gno-la!!”. La sala esplode di gioia e al procuratore del nord che esclama “…e rifiutano un colpo di fortuna come questo?”, Totò risponde “…e basta con i colpi di fortuna, con le lotterie, con i telequiz, con i toto sport, con i toto toti. Essi dicono che la fortuna la vogliono guadagnare da sé...”.
Gli amori non si separano e il calcio povero e romantico è salvo.
Caffè e ciofeghe
Tra le scene cult, una si svolge in un Caffè dello Sport, immancabile bar di paese. Qui al nostro Antonio Capurno, ladruconcolo travestito da improbabile maresciallo dei carabinieri, è servito un autarchico caffè di guerra, un caffè non caffè. Colpito nel vivo della napoletanità, Totò lo boccia come imbevibile, degno di una Ciofega dello Sport e non di un Caffè dello Sport.
Vita e biliardo
“Zazà”, come è confidenzialmente chiamato, è notoriamente decaduto, ma la cosa non gli impedisce di dispensare saggezza nella sala biliardo dell’esclusivo circolo al quale per lignaggio ancora appartiene. Battute conclusive. Totò sarà messo alla porta per morosità, ma il rovesciamento delle parti con lui che da cacciato diventa offeso e sdegnato dalla volgarità del denaro è magistrale.
Di maschera in maschera
A Totò dobbiamo tanto. Capace di raccontare e dissacrare, di metterci a nudo tra le cose piccole e grandissime che accompagnano il nostro quotidiano, ci ha fatto sorridere e ci ha commosso.
Totò aveva ragione. Signori si nasce e lui lo nacque. Modestamente.